Dice l’avvocato Angela Auriemma, in un suo reel su Facebook: «Dal 12 maggio sarà possibile fare domanda per ottenere il reddito di libertà. Una bella notizia da parte dell’INPS, se non fosse che è aperto solamente per le donne vittime di violenza. Ancora una volta lo Stato dimentica che esistono anche uomini vittime di violenza, anziani, bambini. Dunque per loro nessun sostegno economico. Cosa ne pensate e soprattutto questo tipo di sostegno economico riconosciuto dall’INPS può essere equiparato ad una forma di discriminazione nei confronti di altre persone vittime di violenza?». È una domanda retorica. E lo è ormai da anni.
Il reddito di libertà riservato alle sole donne vittime di violenza non è infatti niente di nuovo sul fronte delle misure unidirezionali. Fa seguito a una deriva ideologica iniziata nel 2009, con l’art. 612 bis del Codice Penale targato Mara Carfagna, proseguita nel 2019 con il Codice Rosso targato Bongiorno, poi nel 2022 col DdL 2530 targato Lamorgese, Bonetti, Cartabia (non approvato a causa dello scioglimento anticipato delle Camere), poi nel 2023 il Codice Rosso rafforzato, infine nel 2025 con il DdL Femminicidio targato Roccella, attualmente in Commissione Giustizia al Senato. Il tutto ha alcuni effetti collaterali: l’inversione dell’onere della prova poiché è la narrazione della sedicente vittima ad essere elevata a “prova”, poi cancellazione della presunzione di innocenza, infine introduzione di una sorta di quarto grado di giudizio – preliminare al primo – tramite misure cautelari limitative della libertà personale adottate prima ancora che venga incardinato il processo, ovviamente senza contraddittorio e dopo indagini-farsa di 72 ore.
Sessismo sistematico e strutturale.
L’inefficacia della frenesia giustizialista connessa al Codice Rosso, tanto celere quanto approssimativa, è testimoniata dalla percentuale anomala di accuse che alla verifica giudiziaria si dimostrano prive di fondatezza: oltre il 90% delle denunce per i cosiddetti “reati-spia” esitano in archiviazioni, proscioglimenti, assoluzioni. Il tutto accompagnato dal numero gratuito antiviolenza 1522 istituito dalla Presidenza del Consiglio, dalla rete di centri antiviolenza e residenze protette finanziata dalle voci di bilancio di Governo ed Enti Locali. A ciò si aggiungano i corsi di formazione per far emergere la violenza rivolti ad avvocati, magistrati, medici e forze dell’ordine, le indagini unidirezionali gender oriented dell’ISTAT, il gratuito patrocinio a prescindere dal reddito per le vittime seguite dai centri antiviolenza.
E poi anche le campagne istituzionali a tappeto per pubblicizzare il 1522 in TV, sulla stampa e sui social e poi negli uffici postali, nei municipi, negli ospedali, nelle scuole, sugli scontrini delle farmacie, sui sacchetti dei supermercati, sulle schermate degli sportelli bancomat, nelle fermate bus e metro, nelle stazioni ferroviarie… ovunque. E ora il reddito di libertà. Il risultato è ciò che sostiene da oltre 15 anni chi come me e pochi altri studia il fenomeno “violenza” a prescindere dal genere di autori e vittime, vale a dire senza quei condizionamenti ideologici che limitano analisi ed approfondimenti al solo aspetto delle vittime femminili, documentando il tutto con una casistica immensa, sia legislativa che giudiziaria: la violenza non è affatto unidirezionale. Le uniche ad essere realmente, concretamente, cronicamente e drammaticamente unidirezionali sono le contromisure istituzionali. Dove da decenni ormai c’è qualcuno che ottiene e qualcuno che viene penalizzato, in barba ad ogni principio costituzionale di uguaglianza di fronte alla legge.