Ogni 20 novembre gli arcobaleno celebrano il TDOR, “Transgender Day of Remembrance”, una commemorazione delle vittime della “violenza transfobica sistemica” (cit. Arcigay), di solito celebrata con cortei o fiaccolate e struggenti letture dei nomi dei soggetti “transgender” vittime di omicidio nell’ultimo anno. Nelle parole del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli (corsivi nostri qui e nel seguito): è «la giornata in cui ricordiamo le persone transgender e non conformi al genere uccise dall’odio transfobico. Una ricorrenza nata nel 1999 grazie all’attivista Gwendolyn Ann Smith, in memoria di Rita Hester, donna trans assassinata l’anno precedente. Da quella prima fiaccolata a San Francisco, il TDoR è diventato un momento globale di memoria e responsabilità collettiva … un giorno in cui guardare in faccia la realtà. Perché la violenza non è diminuita. È sistemica. Continua». Sia chiaro, ed è giusto ribadirlo costantemente: ogni vittima di omicidio è una tragedia la cui portata umana non può essere sottoposta a misure, e ogni omicidio è un omicidio di troppo. Tuttavia ribadiamo anche che se si vuole diffondere un allarme relativo a una violenza “transfobica sistemica” e “continua” e indicare una “responsabilità collettiva” dell’intera società, non è sufficiente qualche episodio sporadico, soprattutto se slegati dalla motivazione dell’“odio transfobico”.
Il termine “sistemico”, mutuato dal lessico medico, indica un fenomeno patologico che infesta la totalità di un sistema, in ogni sua parte: trasposto nell’ambito dei crimini violenti, una “violenza sistemica transfobica” implicherebbe necessariamente che ogni elemento della società si impegnasse attivamente, e in accordo con gli altri, per perseguitare e uccidere i “transgender” (mutatis mutandis per il “femminicidio” come “fenomeno sistemico”), un po’ come accaduto nella “soluzione finale” della società nazista contro gli Ebrei o, limitatamente a certe aree specifiche degli Stati Uniti negli anni del separatismo e del Ku Klux Klan, contro le persone di colore. Se così non fosse, simili allarmi e affermazioni risulterebbero ingiustificate e propagandistiche. Quindi i numeri e soprattutto le dinamiche contano, eccome. Per facilitare il compito agli arcobaleno, organizzazioni come Transgender Europe – che abbiamo già incontrato qui – e la statunitense Human Rights Watch mantengono un “monitoraggio” degli omicidi con vittime transgender in tutto il mondo, con report aggiornati annualmente intorno alla data del TDOR. Da poco è uscito l’ultimo, e infatti si sono visti nei giorni scorsi articoli disperati su varie testate e celebrazioni del TDOR, e/o addirittura dei “Trans pride”, in moltissime città italiane.

Casi sporadici che si percepiscono come mattanza.
Christian Leonardo Cristalli, “responsabile delle politiche trans” di Arcigay, nel suo discorso al TDOR di Milano ha detto: «Siamo qui per rompere il silenzio» (già, perché delle teorie, pretese, lagnanze degli arcobaleno non si parla mai, un po’ come di “femminicidi” e violenzadigenere®) «Quest’anno sono 300 quasi le persone trans uccise in quanto tali», e ovviamente non poteva mancare lo scorporo del dato in cadenza temporale «quasi una persona al giorno viene uccisa in quanto transgender». D’accordo, rompiamo il silenzio allora, e parliamone: però seriamente, in modo preciso e dettagliato (visto che lo chiedete a gran voce nei megafoni in decine di città italiane). Il TGEU annunciando l’ultimo report ha segnalato un traguardo sinistro: «5322 ‘transicidi’». Accidenti, oltre 5000 omicidi, sebbene in tutto il mondo, è un numero consistente, contando che la popolazione “trans” è una stretta minoranza rispetto a quella generale… Già, peccato che questo numero non riguardi l’anno trascorso, ma l’intero arco di tempo di esistenza del “monitoraggio”, cioè dal 2008 ad oggi. Trattasi quindi del totale delle vittime di diciotto anni di “violenza transfobica sistemica”: meno di trecento casi l’anno nell’intero globo. Per intendersi: il numero di omicidi stimato dalle Nazioni Unite per l’intero pianeta per anno è di oltre 420.000. Significa che, contando una percentuale di transgender dell’1%, se i tassi fossero analoghi a quelli delle persone non transgender (non maggiori: analoghi!), dovremmo osservare circa 4200 “transicidi” l’anno (accettando certe stime ancora più alte, fino al 4% e oltre ma ben poco probabili, ci si aspetterebbe numeri ancora più alti di vittime).
Invece sono circa trecento l’anno, nell’ultimo (ottobre 2024-settembre 2025) 281. “Quasi una al giorno” sì, ma tenendo conto dell’intero pianeta: non esattamente un dato da allarme rosso, eh, Cristalli? Diciamo dei casi certo tragici, ma sporadici, che però si auto-percepiscono come “mattanza” o, addirittura, come “genocidio”… Numero in diminuzione, peraltro, rispetto agli anni precedenti (350 l’anno scorso), con buona pace del circolo Mario Mieli. Anche accettando l’obiezione che questo numero sarebbe sottostimato – perché in molti casi non verrebbe registrata la “identità di genere” della vittima –, anche triplicandolo, quadruplicandolo, rimarremmo comunque di fronte a un dato inequivocabile, e cioè che i soggetti non transgender sono a rischio di omicidio di gran misura più alto rispetto ai soggetti transgender. Un po’ strana come “violenza transfobica sistemica”, non trovate? Ovviamente questo dato non è omogeneo in ogni area del mondo e ogni sottoinsieme di popolazione. Anzitutto, dai dati del “monitoraggio” emerge chiaramente che le vittime più numerose, proprio come per la popolazione generale, sono le “donne trans” cioè gli uomini: ben il 90% del totale nell’ultimo anno. Pittorescamente, TGEU – e Cristalli nel discorso al TDOR di Milano – riportano questo dato così: «il 90% dei casi sono stati femminicidi» perché in questo delirio ideologico, trattasi di vittime la cui “identità di genere” è femminile…
Transgender uccisi “in quanto tali”? Non proprio.
Poi, c’è una sottoporzione di transgender a rischio nettamente maggiore rispetto agli altri, e cioè i “sex worker”: che costituiscono una porzione consistente, spesso maggioritaria, del totale delle vittime di “transicidi” (il 34% nell’ultimo anno, ma in anni precedenti anche oltre l’80%). Ma la categoria dei “sex worker” di per sé ha un rischio maggiore di subire crimini violenti rispetto alla popolazione generale, per ragioni che con la “transfobia” non hanno niente a che vedere. Inoltre, esiste un’area del mondo in cui i “transicidi” sono molto più frequenti che altrove: l’America Latina, e in particolare il Brasile, «in cima alla lista per il diciottesimo anno consecutivo con il 30% dei casi totali». Si può quindi certamente affermare che, per un “sex worker” transgender in America Latina, esiste un certo rischio di finire vittima di omicidio. Ma, andando a guardare altri contesti, specie quelli dei paesi dell’Occidente “etero-cis-normativo e transfobico”, siamo su livelli di rischio decisamente bassissimi. Se non vi fidate dei soliti “transfobici negazionisti” di LaFionda.com, esistono molte altre analisi dei dati, accurate e dettagliate, che raggiungono esattamente le stesse conclusioni, ma non solo: vanno a spulciare i singoli casi nel dettaglio e indovinate un po’? Viene fuori che per una larga maggioranza dei casi, non è possibile individuare un movente “transfobico” (“trans ucciso in quanto tale”, cit. Cristalli), ma anzi i “transicidi” includono moventi di tutti i tipi…
Da omicidi passionali da parte del compagno, che ovviamente non può essere tacciato di “transfobia”; a casi legati a contesti di criminalità di altro tipo, tra cui appunto quello dei giri di prostituzione; si trovano vittime di mass shootings insieme a persone non transgender; fino a casi in cui la stessa natura volontaria dell’omicidio è incerta, e perfino soggetti morti per cause naturali, finiti “erroneamente” dentro il “monitoraggio”. La stessa identica metodologia che si usa per la propaganda sui “femminicidi”, insomma: non a caso, le due propagande si incontrano in quell’ibrido mostruoso che è il “transfemminismo”, ad es. quello delle nonunedimene (che nei conteggi del loro “osservatorio” mescolano “femminicidi, lesbicidi, transicidi” includendo pure i “suicidi indotti” e i “casi in fase di accertamento”). Non posso entrare nei dettagli, ma citerò alcune di queste analisi, a beneficio dei lettori che vogliano verificare e approfondire: quella pubblicata nel 2020 sulla rivista Queer Majority (fatta da LGBT, quindi non passibile di sospetti di “transfobia”); la ricerca peer-reviewed pubblicata nel 2017 su American Journal of Public Health, focalizzata sui “transicidi” riportati tra il 2010 e il 2014 negli Stati Uniti, che conclude: «Il tasso di vittime transgender di omicidio risulta, stando alla maggior parte delle stime, inferiore a quello delle vittime tra i soggetti non transgender»; l’analisi pubblicata su Unherd nel gennaio 2022 dal titolo La verità sugli omicidi di trans incentrata sul contesto britannico; il superbo saggio di Wilfred Reilly (docente all’Università del Kentucky e autore del fondamentale Hate crime hoax), pubblicato su Quillette nel dicembre 2019, incentrato sugli Stati Uniti; e la recentissima analisi Memorial ritual as fear engine (“La commemorazione come motore della paura“) della LGB Courage Coalition, associazione di gay e lesbiche che si oppongono alla propaganda arcobaleno.
Italia: zero casi nell’ultimo anno.
E per quanto riguarda l’Italia? Sentiamo come tratta l’argomento l’esimio Dr. Zan sui propri social: «L’Italia rimane al primo posto tra i paesi europei per numero di transicidi». Se foste una persona transgender residente in Italia comincereste già a tremare, vero? «In Italia i casi documentati sono 59. Segue la Francia con 51 omicidi», e ovviamente la colpa non è dei rispettivi assassini, ma de “ledestre”: «Le politiche anti-LGBT della destra alimentano la violenza». Certo, 59 persone transgender uccise in un anno è un bel po’… ma no, ormai avete inteso il giochetto: questo numero riguarda infatti l’intero arco di tempo del “monitoraggio”, cioè diciotto anni. Quindi, in teoria, circa tre “transicidi” l’anno. Dico “in teoria” perché andando a interrogare gli stessi dati forniti dal TGEU (applicando il filtro “Italy” nella pagina dedicata alla casistica), i “transicidi” italiani registrati risultano 49, non 59. Ci si può facilmente far abbindolare da Zan se si guarda a colpo d’occhio la “mappa” elaborata dal TGEU, che pare indicare 59 casi centrati sull’Italia: ma allargando il campo, si vede che alcuni dei casi lì raggruppati sono avvenuti fuori dal nostro paese. I 49 casi italiani presentano una importante differenza di distribuzione temporale, peraltro: 32 riguardano il periodo 2008-2016, e solo 17 il periodo 2017-2025, di cui nessuno nell’ultimo anno (con buona pace del circolo Mario Mieli e del “primo posto in Europa” di Zan); e ça va sans dire, anche per questi casi la maggior parte (se non la totalità) non c’entra niente con l’“odio transfobico”. Tanto per cominciare, 27 di queste 49 vittime erano “sex worker” (e molti, guarda un po’, di origine sudamericana)… anche qui si intravvede un pattern criminologico un tantino diverso rispetto alla “persecuzione transfobica”.
E andando a spulciare i singoli casi, si trova un po’ di tutto: ad es. Carlo/Camilla Bertolotti, parrucchiere (e “sex worker”) ucciso consequenzialmente a una vittima femminile, Nevila Pjetri, a scopo di rapina da un assassino cocainomane che, stando a quanto riportato sui media, per pagarsi la droga rubava perfino a parenti e fidanzata; oppure “Francesca” Galatro, 66enne per il cui omicidio fu inizialmente sospettato un movente di gelosia, poi si è appurata la grave deficienza psichica del presunto colpevole, reo confesso e in vicinanza affettiva con Galatro; o ancora Emmanuel Alves/Manuela Rabacchi, “sex worker” che nel luglio 2020 fu ucciso da un bancario (pure lui dipendente da varie sostanze) perché lo ricattava, chiedendogli soldi per non divulgare foto e video dei loro incontri a luci rosse. Anche in questo caso un quadro ben lontano dal “transgender ucciso solo in quanto transgender” (cit. Cristalli), non vi pare? Eccetera, eccetera. Ma anche questo voi non lo dovete sapere, neanche ipotizzare per sbaglio. È tutto odio “transfobico”, pura furia cieca a caso contro “il diverso” da parte degli “etero-cis” cattivi, alimentata dall’intero sistema di oppressione guidato da “ledestre”. Punto e basta. Perché altrimenti come fareste a spaventarvi, se transgender? Oppure, se non lo siete, come fareste a piangere per la mattanza sistemica dei poveri transgender perseguitati, sentirvi in colpa perché “privilegiati” in una società “sistemicamente transfobica”, e pertanto acconsentire in silenzio e a capo chino a qualsiasi pretesa degli attivisti arcobaleno?