Ci è stato richiesto da più parti un commento “a caldo” della vicenda delle tre influencer beccate a spadroneggiare e tormentare altri. Le loro chat hanno attraversato il web e suscitato le più diverse reazioni, da quelle giustificazioniste (immancabili quanto becere) a quelle di animosa condanna. Abbiamo aspettato che la questione si raffreddasse per rifletterci su per bene, prima di dare un’opinione in merito, perché avevamo la sensazione che dietro ci fosse qualcosa in più di qualche scappata di casa presa dal delirio d’onnipotenza di marca femminista. E in effetti ci sono due aspetti molto paradigmatici dietro quella vicenda, uno di carattere generale e uno molto specifico. Quello di carattere generale riguarda gli strumenti con cui le tre influencer poveracce hanno esercitato il loro potere: il web e i social. Chi scrive è un boomer, uno di quelli che ha vissuto un tempo dove i maestri del pensiero e dell’opinione si esponevano attraverso libri, articoli su carta stampata, qualche volta interviste in TV dove si mostravano faccia, corpo, nome e cognome. Chi scrive ancora non può trattenere un senso di incredulità di fronte al fatto che un ambiente virtuale dove tutto, ma proprio tutto può essere falsificato e ingigantito oltre ogni misura reale, abbia così tanto peso sulla vita delle persone. La maggioranza degli individui oggi ha una paura folle di subire una shitstorm, ovvero l’assalto sul web/social di una muta di cani idrofobi dal cervello spappolato che un minuto dopo aver sbavato su qualche social s’innamora di qualche gattino che gioca con qualche cagnetto. Il fatto che i politici esprimano le proprie posizioni non più con articoli o comunicati ufficiali ma con post, tweet e reel, di certo non aiuta, ma il primo fatto emblematico è che una realtà totalmente virtuale (cioè finta), animata da professioni inesistenti quali l’influencer, ha effetti concreti su individui fragili nella realtà fattuale.
È su questo meccanismo, che è già di per sé patologico (parimenti alla moglie che al mattino picchia il marito dopo aver sognato che questi lo tradiva), che le tre influencer bullette del femminismo contemporaneo hanno fatto leva. Hanno usato un potere che di fatto non esiste, o meglio che esiste perché il mondo attorno ne accetta e ne legittima l’esistenza. Sebbene, appunto, non esista. Non diversamente uomini e donne del passato inneggiavano al fuoco durante i roghi che si portavano via le vite di presunti streghe e stregoni: lo vuole Domineddio, lo dicono le Scritture interpretate dal sacerdote, e tanto basta per accettare qualcosa che nulla ha di umano. Oggi lo dice il web, le chat di Telegram, si diffonde su X o sui reel di Instagram, parola di influencer, e tanto basta perché sia vero, a dispetto dei dati. Ne sappiamo qualcosa: da gente all’antica, quali siamo, ci presentiamo con carte, dati, numeri, fatti che dicono cose molto molto chiare, e ci sentiamo rispondere “eh ma c’è un femminicidio ogni tre giorni”, pronunciato con la stessa fede con cui un cattolico osservante afferma la realtà fattuale dell’immacolata concezione. Le tre influencer squadriste femministe hanno imperniato la loro azione su quel tipo di pigrizia mentale che porta i poveri di spirito e di intelletto ad affidarsi ai culti e ai dogmi. Gli stessi davanti a cui, poveri ingenui, noi ci ostiniamo a sciorinare statistiche e fatti. Ma mentre noi otteniamo ostracismo, loro per un po’ hanno ottenuto ciò che volevano, iniettando il loro veleno nel sistema linfatico della cultura diffusa e della società, ormai totalmente dipendenti da ciò che avviene in quell’isola-che-non-c’è che è il mondo virtuale di internet e dei social.
Influencer senza controparti.
Ma c’è un secondo aspetto, più specifico e più rilevante, che risponde alla domanda: perché le tre influencer kapò del femminismo si sono sentite legittimate a spingersi così in là nelle loro pulsioni di dominio e sopraffazione? La risposta è una e una sola: mancanza di controparti. Se un’ideologia riesce a dilagare, rimuovendo dal tavolo della discussione pubblica ogni confronto con chi la pensa diversamente, si ottiene automaticamente il delirio d’onnipotenza. Per questo i culti hanno sempre oppresso violentemente chi non aderiva ai loro dogmi. Il femminismo c’è riuscito. Prova ne sia quanto accade a Senigallia, dove un convegno che vorrebbe trattare la violenza come un mero fattore umano, trova un’opposizione politica e mediatica degna del più feroce fascismo. Eppure: se si è tanto sicuri delle proprie posizioni, cosa temere da chi esprime opinioni contrarie? La verità è che chi supporta una certa narrazione sa benissimo che si tratta di un castello di carte, dunque meglio che lasciare il microfono aperto ad analisti critici è tappargli la bocca. Se non che ci va di mezzo la libertà di parola ed espressione, che non è un principio teorico sospeso nell’aria, lassù tra i grandi principi filosofici, ma è un fatto che ha ricadute dirette nel mondo reale.
Se le tre influencer delinquentelle beccate a tormentare gente sui social si fossero dovute confrontare con qualche controparte ben strutturata, un nostro Nestola, un nostro Altaba o Moggia, o altri, si sarebbero guardate bene dall’alimentare dentro di sé quel delirio di onnipotenza che le ha portate a strafare oltre ogni limite della decenza e della legalità. Avrebbero preso bastonate a sufficienza da convincersi che le proprie convinzioni, buone o meno che siano, vanno portate avanti con modalità controllate, perché in giro c’è chi le può smontare pezzo pezzo, facendo loro fare la figura delle cioccolataie. A questo, serve la libertà di espressione, la possibilità per chiunque di dire tutto ciò che vuole: si mettono sul tavolo le tesi e, se ben documentate e argomentate, una bilancia l’altra. Supponiamo per assurdo (assolutamente per assurdo) che nelle nostre idee ci siano dei bias misogini: in un dibattito con una femminista ben strutturata verrebbero fuori e saremmo costretti a ricrederci, a limare la nostra comunicazione. Lo stesso vale a parti invertite. Dunque la vera causa di quanto accaduto con quelle tre influencer poveracce non sta in una loro specifica deviazione mentale o esaltazione del momento, ma dal fatto che il sistema attuale proibisce letteralmente che l’ideologia che le ha legittimate possa essere messa in discussione. Questo può avere un esito che soltanto i lettori possono valutare: che futuro ci aspetta oggi che un’ideologia schierata nell’odio per un intero genere ha il privilegio di vedere rimossa ogni iniziativa critica? Guardate alla storia e troverete la risposta. Un di’ le camicie furono nere, a breve potrebbero essere rosa o fucsia.