La cronaca di questi giorni ci ha restituito due eventi che possono essere classificati come casi di scuola di violenza femminile sugli uomini debitamente associata a false accuse, queste ultime usate per tentare di farla franca rispetto ad eventuali accuse appunto per violenza. Il primo caso va in scena a Teramo: nel 2020 un uomo viene accusato dalla moglie per maltrattamenti in famiglia, ma dopo cinque anni di calvario giudiziario viene assolto. Ennesima falsa accusa. Durante il procedimento infatti emerge che i maltrattamenti denunciati dalla donna erano uno stratagemma, un suo tentativo per giustificare le lesioni permanenti che proprio lei aveva inferto al marito. C’è una crudele ironia nell’accaduto visto che, come riporta l’articolo l’uomo conduceva «vita irreprensibile, di uomo impegnato nel sociale e in particolare, paradossalmente, nelle iniziative contro la violenza sulle donne». Chissà, forse adesso ha aperto gli occhi dopo cinque anni di tortura in tribunale.
Sempre se gli occhi li ha entrambi perché, racconta l’articolo, l’uomo aveva subito un’aggressione dalla moglie violenta, riportando «un danno permanente ad un senso» (probabilmente un occhio, ipotizziamo noi). L’uomo però non si lascia trasportare dalla rabbia, non reagisce con una violenza uguale e contraria, non si vendica picchiando la donna che lo ha menomato ma – correttamente – ricorre agli strumenti previsti dalla legge: denuncia per lesioni aggravate. Ed è lì che scatta la tagliola: la signora denuncia a sua volta di subire maltrattamenti da mille anni, la sua non è stata un’aggressione ma una doverosa reazione alle continue violenze, è stata costretta a difendersi. Le è sufficiente dire di aver subito violenza (associando nella falsa accusa anche la figlia, ci mancherebbe…) e, anche se lui deposita le prove documentali di averla subita davvero, si innesca il meccanismo del believe women: quello rinviato a giudizio è lui. Da vera vittima si trasforma in falso carnefice, grazie al Codice Rosso e a tutte le forzature che lo circondano.
False accuse per discolparsi dalla violenza.
E così lui passa 5 anni nel tritacarne giudiziario, dilapidando risorse emotive ed economiche, più lo stigma sociale e l’immagine pubblica distrutta. «Esito fortunatamente contrario», commenta l’articolo: quindi l’uomo è stato assolto per pura fortuna, non perché erano prive di fondatezza le accuse della moglie, che ha finto di essere vittima di maltrattamenti «forse per reazione emotiva». Una supercazzola scritta perché è vietato dire che lo abbia fatto per calcolo, nel tentativo di tirarsi fuori dai guai fingendosi vittima. Meglio ipotizzare che sia comunque vittima, se non del marito è vittima della propria emotività. Ecco dunque che la solerte PM, una delle tante, chiede per lui 3 anni di condanna, ma il giudice riconosce la falsa accusa e lo manda assolto. Una vicenda emblematica, degna di renderla un caso scuola da studiare nei corsi di formazione liberi da condizionamenti ideologici, se ancora ne esistono.
Ma non è tutto: se Teramo chiama, Caltanissetta risponde. Ed ecco il secondo caso: una donna chiama i carabinieri, chiede aiuto, vuole essere difesa da un’aggressione del marito. I militari intervengono e trovano la casa piena di tracce di sangue. La donna però non ha un graffio e il marito non c’è. Non c’è perché il “carnefice” è andato in ospedale a farsi ricucire: quello accoltellato è lui. Dice l’articolo (corsivi nostri): «dopo essere rientrato a casa, ha confermato l’aggressione subita, che ha trovato conferma anche dalla visione delle immagini del sistema di videosorveglianza. Dai filmati sono emerse prima le violenze verbali nei confronti dell’uomo anche in presenza del figlio – anch’egli bersaglio di offese e percosse – e infine l’accoltellamento. Un’aggressione simile si era verificata anche alcuni mesi prima. Ormai l’uomo da anni subiva violenze psicologiche e fisiche da parte della moglie, mai denunciate».
La violenza episodica di Valeria Valente.
In questo caso la donna non si gioca la carta della vittima: tra immagini delle telecamere e referti ospedalieri, probabilmente non se l’è sentita, ma la conclusione della vicenda è comunque significativa. Sì perché il GIP di Caltanissetta, su richiesta della Procura, ha convalidato l’arresto e disposto la custodia cautelare in carcere dell’indagata con l’accusa di… maltrattamenti! Pareva brutto, nonostante le evidenze, aggiungere le lesioni aggravate, il procurato allarme e la calunnia, che in questo caso è lampante. Come nel caso precedente, sembra comunque insopprimibile la tendenza femminile ad aggredire e dichiararsi vittima di aggressione, facendo leva sul fatto che la cultura generale impone che la colpa sia sempre dell’uomo che, quando sopravvive, può discolparsi, anche se capita spesso che non possa più farlo, ed è quando la donna può dire ciò che vuole e diventare l’eroina dei media, della politica e delle lobby collegate.
Questi due fatti accadono, ironia della sorte, proprio mentre la Senatrice Valeria Valente annuncia sui social un convegno previsto in senato il 16 ottobre, intitolato: “Donne, diritti e violenza maschile: le frontiere di un nuovo attacco?”. Dall’elenco degli invitati, persone del calibro dei magistrati Roia e Menditto, ma anche rappresentanti di D.I.Re., è facile immaginare che se la canteranno e suoneranno come al solito, guarda caso propri il giorno prima del convegno in cui L.U.V.V. terrà un convegno intitolato “Quando la vittima è lui” presso il VI Municipio di Roma che, come si ricorderà, ha aperto, unico in Italia, un centro di ascolto per uomini vittime di violenza. Basta leggere il commento del post della Valente per sentire tutto il panico che sta prendendo politici e lobbisti dell’industria dell’antiviolenza: si parla di “campagna d’odio sui social”, di violenza maschile sulle donne come “strutturale di natura culturale”, mentre quella femminile sugli uomini è “certamente grave ma episodica e differente”. Sì, Senatrice, in effetti è differente perché in molti casi non viene punita grazie all’uso delle false accuse. Se ha qualche dubbio si faccia un giro a Teramo (e magari porti con sé un occhio di ricambio a quel poveraccio…), a Caltanissetta o sul nostro Osservatorio Statistico.