Molti lettori, esplorando questo sito, chiedono come mai le notizie di violenze femminili sugli uomini debbano essere rintracciate in rete sui piccoli media locali e non trovino mai spazio nei TG in prima serata, nelle grandi testate nazionali, nei salotti televisivi, nelle trasmissioni di approfondimento, e di conseguenza perché la violenza femminile non diventi argomento di discussione nel dibattito pubblico, politico, mediatico, accademico. Perché fa molto più rumore la pacca sul sedere della giornalista toscana – della quale i media si sono occupati per settimane – rispetto all’uomo di cui non si è occupato nessuno, nonostante sia stato ucciso con l’acido dalla moglie? Eppure la violenza femminile non è affatto un fenomeno marginale, La Fionda ha in archivio una moltitudine di notizie che registrano la donna uccidere, sfregiare, sparare, accoltellare, avvelenare, aggredire con forbici, bastoni, bottiglie, mannaie, zappe, roncole ed attrezzi agricoli di vario tipo. E poi lancio di oggetti, calci, pugni, schiaffi, soffocamenti, strangolamenti e vari tipi di aggressioni a mani nude. Casistica solo relativa alla violenza fisica, per non parlare di atti persecutori o false accuse: negli archivi tematici gli articoli di cronaca sono decine di migliaia.
Tutte notizie scovate – con un costante e impegnativo lavoro di ricerca – su positanonews.it, reggio2000.it, brindisireport.it, quibrescia.it, agrigentonotizie.it, trevisotoday.it, cataniaoggi.com, mediterranews.org, senigallianotizie.it, tusciaweb.it e altre decine di piccoli media locali, rigorosamente online. Pur con il massimo rispetto per qualsiasi testata giornalistica, credo sia superfluo sottolineare il diverso bacino d’utenza che possono avere senigallianotizie.it e il TG1… La dinamica ricorrente è sempre la stessa: la vittima di manomorta Greta Beccaglia era sui TG nazionali h24 e la politica tutta si è stracciata le vesti, ma gli episodi (molto più gravi, oltretutto) che registrano vittime maschili vengono oscurati: di Rosario Almiento ucciso con l’acido dalla moglie si è occupato brindisireport.it, di Gabriele Sattolo ucciso dalla moglie a coltellate si è occupato ilgiornaledelfriuli.it, di Salvatore Marsiglia ucciso dalla moglie a martellate si è occupato milanotoday.it, di Rocco Angelo Cutri ucciso dalla moglie a colpi di roncola si è occupato lacnews24.it, di Giovannino Delogu – disabile – ucciso a coltellate dalla moglie si è occupato buongiornoalghero.it.
Una violenza di cui è proibito parlare.
Almiento, Sattolo, Delogu, Marsiglia, Cutri e poi ancora Ugo Alba, Michele Amedeo, Antonio Amicucci, Valerio Amodio, Francesco Ancona, Giovanni Anguzza, Donato Annesi, Fausto Ansaloni, Marco Antoniello, Francesco Armigero, Agostino Ascone, Romolo Baldo, Maurizio Baldoni, Marco Benzi, Claudio Bertini, Costantino Biscotto, Dimitri Bordea, Salvatore Bramucci, Luigi Buccino, Giovanni Battista Buono, Salvatore Burrafato, Sergio Cafasso, Martino Caldarelli, Salvatore Caliri, Christian Calvetti, Enzo Canacci, Michele Cangialosi, Mariano Cannava, Gianluigi Cannetti, Francesco Capuano, Giuseppe Cardoselli, Mattia Caruso, Luigi Casati, Antonio Cazzato, Emilio Cicero, Tiziano Colombo, Vincenzo Cordì, Walter Corradini, Luigi Crisciuolo, Cesidio Cugini, Vittorio D’Ammassa, Damiano De Fazio, Pietro Delia, Giuseppe De Marinis, Giuseppe Denaro, Dario Devincenzi, Giovanni Di Marino, Nicola Di Paolo, Felice Dozzo Testa, Ernesto Emperor, Romano Fagoni , Antonino Faraci, Cristian Favara, Francesco Favaretto, Francesco Ferraro, Pietro Ferrera, Vincenzo Ferrigno, Cosimo Filantropia, Luca Fiammenghi, Domenicantonio Gallega, Gabrio Gentilini, Carlo Giovanni Gatti, Luciano Giacobone, Carlo Giancola, Stefano Giaron, Rocco Gioffré, Paolo Giuffrida, Salvo Giuffrida, Massimo Guerra, Kurt Huber, Roberto Iannello, Stefano Iurigh, Ignazio Lacitignola, Carlo La Duca, Piero Landriani, Mario La Pietra, Giuseppe Lo Cicero, Marco Magagna, Filippo Magistro, Michelangelo Marchese, Renzo Marchesi, Roberto Mariani, Amedeo Matacena, Paolo Matalon, Tony Matalon, Giampaolo Mauri, Stefano Melillo, Paolo Melis, Giuseppe Micillo, Gianluca Monaco, Rodolfo Moretti, Angelo Murgia, Sebastiano Musico, Giovanni Mutti, Augusto Natale, Angelo Ogliari, Antonio Olivieri, Ciro Palmieri, Giuseppe Parisi, Francesco Pastore, Rino Pezzullo, Agostino Pieralli, Nicola Pizzi, Leonardo Politi, Salvatore Pollasto, Guido Porcelli, Claudio Palladino, Giannandrea Pucciarini, Angelo Radatti, Ciro Rapuano, Fabio Ravasio, Dino Reatti, Giuseppe Ronco, Romano Rossi, Diego Rota, Michele Santoni, Lorenzo Sciacquatori, Paolo Scrinzi, Fabio Sementilli, Stefano e Vincenzo Silvestri, Giorgio Simone, Carlo Sorrentino, Diego Spanò, Salvatore Tantillo, Maurizio Tessari, Espedito Tornatore, Pasquale Tufano, Bruno Vaccarini, Alessandro Venier, Francesco Vetrioli, Fulvio Visintin, Matteo Zanetti e purtroppo tanti altri ancora.
Chi sono? Bisogna dragare a fondo il web per saperlo. Nomi sconosciuti alle masse, ignorati dai programmi di approfondimento e inesistenti nel dibattito pubblico e istituzionale, ma sono tutti uomini uccisi da mogli, ex mogli, conviventi, fidanzate, amanti, madri o sorelle per motivi che vanno dalla gelosia alla vendetta, dagli interessi economici alla contesa dei figli. Tutti insieme non hanno avuto nemmeno un centesimo dell’attenzione mediatica, né tantomeno politica, riservata al singolo caso di Lucia Annibali, sfregiata con l’acido e catapultata in Parlamento a suon di onorificenze istituzionali quale simbolo delle donne vittime di violenza. Per l’uomo ucciso da una donna non vi sono cortei e fiaccolate, il sindaco non proclama il lutto cittadino, non vi sono filmati del funerale, i giornalisti non stazionano in loco intervistando parenti, vicini, avvocati e autorità. Oltre agli uomini assassinati c’è il copioso filone di quelli sopravvissuti agli accoltellamenti, i tentati omicidi che non si concretizzano solamente grazie alla limitata prestanza fisica delle aspiranti assassine, la cui volontà omicida risulta però evidente agli inquirenti che alle imputate contestano, appunto, il tentato omicidio.
Media scollati dalla realtà.
Da cosa deriva, in sostanza, il disinteresse mediatico e politico per le vittime maschili di violenza? Perché delle vittime femminili si parla a reti unificate e su quelle maschili c’è un disinteresse sistematico che esita di fatto nell’oscuramento? Proviamo a rispondere col massimo della sintesi: creando un problema creo anche l’occasione e il diritto di potermene occupare. È la costruzione sistematica di un quadro politically correct. Deve emergere uno spaccato della società che conferma la narrazione istituzionale: l’uomo è l’orco, la donna è la vittima. Anzi, peggio: tutti gli uomini carnefici, tutte le donne vittime. La Colpa non è individuale dell’assassino ma diventa dell’intero genere maschile: i personaggi pubblici si cospargono il capo di cenere, si inginocchiano, si scusano, si vergognano di essere uomini poiché secondo il mantra femminista “chi non riconosce la Colpa collettiva è parte del problema”. Gli uomini – tutti – devono pentirsi e vergognarsi, sono da rieducare, ultimamente va molto anche decostruire.
Il bombardamento mediatico unidirezionale produce l’effetto voluto: chi chiede un parere generico sulla violenza alla gente comune condizionata dal mainstream (l’edicolante, il benzinaio, la cassiera del supermercato) ottiene la risposta “beh, con tutto quello che si sente in giro…”. Ecco, il problema è proprio questo: l’informazione bipartisan non “si sente in giro”. Non si deve sentire in giro, non deve suscitare dibattito pubblico, mediatico e meno che mai istituzionale. Non deve quindi entrare nell’agenda politica, che soffre di un curioso strabismo gender oriented. Ecco allora che vengono fatte digerire come legittime in quanto indispensabili e urgenti le norme sempre più afflittive, le campagne 1522, i finanziamenti ai centri antiviolenza, le misure protettive tarate esclusivamente sulle donne, la parola della sedicente vittima che diventa prova, le misure cautelari senza contraddittorio, l’asimmetria valutativa in base a chi faccia cosa, il Codice Rosso in procura, il Codice Rosa in ospedale e tanto altro ancora: nella cittadinanza viene inculcata la percezione che siano doverose risposte istituzionali per fare fronte all’Emergenza sociale più emergenza di tutte, quella con la E maiuscola. Creando un problema creo anche il diritto potermene occupare… e di far diventare legittima qualsiasi misura per risolverlo. Anche se poi è mero populismo che non risolve nulla come, ad esempio, l’ergastolo obbligatorio per chi uccide una donna in quanto donna. Come se un criminale assassino prima di uccidere la vittima calcolasse il rapporto costi-benefici: se il beneficio di placare le mie frustrazioni eliminando la fidanzata che vuole lasciarmi mi costa 18/20 anni lo faccio, se invece mi costa l’ergastolo non conviene più allora non lo faccio. Uno scollamento dalla realtà clamoroso.
“Perché lo fate?”.
Una domanda ci viene rivolta spesso: “è un lavoro gravoso che oltretutto vi attira critiche a pioggia, perché lo fate?”. Potremmo dire per amore di verità, per rifiuto delle menzogne, per completezza di analisi, per non accettare un’informazione pilotata, per non subire bovinamente ciò che ci viene inculcato, per un attaccamento viscerale alla libertà di pensiero da non perdere mai. Ma forse la risposta è più semplice, addirittura banale: perché nessun altro lo fa… e questo ci dovrebbe far riflettere tanto, davvero tanto. Alcune precisazioni sul sito La Fionda, già fatte più volte nero su bianco ma evidentemente sfuggite a chi si accanisce a etichettarlo come un pericoloso focolaio di misoginia e sessismo che istiga odio contro le donne. L’osservatorio statistico disturba, dà fastidio, fa indignare poiché – a detta di contestatori e contestatrici – è unidirezionale. Strano, vero? Un osservatorio sulle vittime maschili si occupa di vittime maschili, guarda un po’… non parla di cinema e musica ma soprattutto non parla anche di vittime femminili ricordando a tutti che “sono di più”. Qualunque studioso sa che il fattore numerico non ha alcuna rilevanza nell’analisi critica di un fenomeno, qualunque esso sia.
Sarebbe folle sostenere che non bisogna occuparsi delle violenze subite dai cani vivisezionati in laboratorio, poiché i criceti vivisezionati sono di più. Sarebbe folle sostenere che non bisogna occuparsi delle violenze subite dai portatori di handicap, poiché i normodotati sono di più. Sarebbe folle sostenere che non bisogna occuparsi delle violenze subite dagli omosessuali, poiché gli etero sono di più. Oltre che folle sarebbe anche in forte odore di omofobia, o no? Eppure tale follia diviene valida in un solo caso: studiare il fenomeno “violenza” nella sua interezza è vietato, bisogna occuparsi esclusivamente di vittime femminili perché sono di più. Chi – pur senza negare la gravità delle uccisioni, anche se fosse una sola – osa semplicemente dire (e dimostrare) che c’è anche altro, viene contestato, delegittimato, deriso, attaccato e in molti casi perfino insultato per l’ignobile azzardo di aver toccato corde intoccabili. Curioso notare come non suscitino identica indignazione dozzine di siti, alcuni notissimi e altri meno noti, che pubblicano elenchi di vittime femminili con tanto di foto e dettagli macabri. Quello, evidentemente, è cosa buona e giusta.
Le false accuse dilaganti.
Risulta evidente che il fenomeno “violenza” è trasversale ma c’è un aspetto – e uno solo – sul quale devono essere puntati i riflettori, il resto deve essere ignorato. Sempre sui chiarimenti del sito, ci preme sottolineare che l’analisi critica riguarda il sistema, non le donne. Non è rilevante la condanna per stalking della Maria Rossi di turno, i maltrattamenti dei quali è colpevole Carla Bianchi o l’omicidio commesso da Anna Verdi. Il sito utilizza i fatti di cronaca per dimostrare un paradosso: anche a fronte di migliaia di reati commessi da donne, la narrazione mainstream parla sempre di centri antiviolenza, residenze protette, centri di rieducazione per uomini violenti e così via. “Qualcosa è stato fatto ma è ancora troppo poco, bisogna fare molto di più” è la lamentela ricorrente, c’è bisogno di norme più restrittive, più finanziamenti ai centri antiviolenza, più fondi per le residenze protette e sempre più centri di rieducazione per uomini autori di violenze. Il fenomeno inverso non esiste e se esiste non vale la pena non solo di studiare le contromisure ma nemmeno di parlarne. È proprio questa la criticità che evidenzia il lavoro del sito.
Il problema quindi è strettamente politico: il dito è metaforicamente puntato contro il Palazzo, non certo contro Maria Rossi, Carla Bianchi o Anna Verdi. Allo stesso modo è politico anche il problema del mancato riconoscimento delle false accuse, autentica emergenza sociale in merito alla quale i parlamentari di ogni schieramento fanno immancabilmente le tre scimmiette, da anni. Oltre il 90% di denunce per i cosiddetti reati di genere esita in archiviazione, proscioglimento o assoluzione, meno del 10% arriva a una condanna definitiva. È grave che vi sia un 10% di colpevoli, ma abbiamo decine di migliaia di procedimenti ogni anno che intasano il sistema giudiziario sottraendo tempo e risorse alle indagini sulle reali vittime di violenza, le quali diventano quindi vittime anche delle troppe accuse che si rivelano prive di fondatezza. Devastanti le conseguenze per gli innocenti ingiustamente accusati, che impiegano anni ed enormi risorse emotive prima ancora che economiche per vedere riconosciuta in tribunale l’estraneità alle accuse che vengono loro mosse. “Il processo è già una pena” lo diceva Carnelutti, uno dei più eminenti giuristi italiani, non io.
E poi le domande di una stampa priva di senso.
Vi sono da aggiungere le pene accessorie che, nonostante le assoluzioni, gli innocenti ingiustamente accusati devono spesso patire: la macchia indelebile del sospetto, stigma sociale, immagine distrutta, perdita del posto di lavoro, interruzione delle relazioni con i figli. Tuttavia la macroscopica criticità delle false accuse, che incide sia sulle persone che sul sistema giudiziario, non viene riconosciuta come emergenza sociale; l’unica Emergenza che catalizza l’attenzione istituzionale e mediatica è sempre un’altra. Da ultimo devo sottolineare, senza nascondere che in fondo risultano divertenti, i luoghi comuni sciorinati dai detrattori che periodicamente tentano di delegittimare sia il mio lavoro che, più in generale, l’intero sito. Un festival di dozzinali qualunquismi da parte di chi non sa di cosa sta parlando e pretende di attribuirmi meriti che non ho: non sono il fondatore del sito, non sono il titolare del dominio, non sono il webmaster, sono solo uno dei tanti che inviano dati e articoli. Poi arriva chi ripropone dieci volte la stessa domanda poiché non riesce ad ottenere la risposta che sperava, chi finge di non capire un ragionamento oppure non lo capisce proprio, chi sostiene (questa è divertentissima) che donne e uomini che delinquono vengono trattati allo stesso modo sia in tribunale che sulla stampa, chi sostiene che solo da tre o quattro anni si dica finalmente che le donne non si possono malmenare e tace sgranando gli occhi quando obietto che 50 anni fa, già ai bambini delle elementari, veniva insegnato che le donne non si picchiano nemmeno con un fiore.
C’è chi mi contesta la frase di un articolo senza aver letto il resto (e se lo ha letto non lo ha capito), chi mi attribuisce una dichiarazione senza aver visto che l’articolo incriminato è scritto da altri. Sono abituato, l’importante è screditare, in tanti lo fanno da anni anche se pensano di essere originali. Un aspetto curioso: c’è pure chi, col tono di aver fatto chissà quale scoop, mi mostra la schermata del sito sulle donazioni: “cosa vuol dire sostenitore plus, silver, gold e leggenda?”. Mannaggia, scoperte le trame oscure de La Fionda. Ha intuito che pagando si accede a livelli successivi vietati ai comuni mortali, gli spazi bui dedicati a tramare nell’ombra contro le donne, organizzare violenze, attentati e pure colpi di Stato per insediare Donato Bilancia al Quirinale. Perché bruciare uno scoop così? Per una testata giornalistica non dovrebbe essere difficile pagare 20 euro, infiltrarsi nel Regno del Male e sconvolgerne i piani con un’inchiesta da premio Pulitzer. Ultima chicca, credo di averla ascoltata un centinaio di volte: “ma lei lo sa che fino al 1981 c’era ancora il delitto d’onore?”, tassativamente detto come se si trattasse di ieri e non di quarantaquattro (44!!!) anni fa. Già, mi sento veramente in colpa. Se non lo hanno cassato negli anni ’50 la colpa è mia e de La Fionda.