Giorgia Meloni è a tutti gli effetti uno dei politici più scaltri e astuti nel panorama italiano. Lo prova il fatto che da quando è in carica riesce a mettere in scacco la sinistra in occasione del 25 novembre, e ogni volta in modo diverso. Quest’anno però ha superato se stessa. I più, tra cui noi, erano convinti che avrebbe colto al balzo la palla mediatica della vicenda del gruppo Facebook “Mia moglie”, che l’estate scorsa aveva dato la stura a ipotesi di chiusura generalizzata delle “piattaforme misogine”. Se ne è parlato per settimane e qualcosa di concreto sembrava prendere corpo, tanto che i nostri responsabili del canale YouTube fecero una previsione: la legge ammazza-libertà d’opinione sarà la porcata con cui Governo e maggioranza celebreranno il 25 novembre, mettendo nuovamente sotto scacco gli avversari politici e vellicando il proprio elettorato amante del law-and-order. Probabilmente non ci sbagliavamo ma, come si sa, il diavolo si dimentica sempre di fare i coperchi: la notizia che dietro la pagina Facebook “Mia moglie” ci fosse una donna dev’essere arrivata a Meloni e ai suoi ben prima che ai media e così l’iniziativa è stata debitamente accantonata o solo rimandata alla prossima occasione mediatica.
Ma che fare allora per il giorno contro la violenza sulle donne? Ormai è diventato un appuntamento irrinunciabile: come la calza nel giorno della Befana, il 25 novembre questo Governo deve poter esibire qualcosa e contemporaneamente mutilare la sinistra di un tema-guida sulla cosiddetta violenza di genere. Ed è lì che Meloni e suoi hanno congegnato un meccanismo diabolico. Bolliva già in pentola una proposta di legge intrinsecamente incostituzionale, giuridicamente obbrobriosa ed eticamente irricevibile, quella sul “femminicidio”. Se ne stava lì nell’inedia generale, criticata da chiunque avesse un po’ di sale in zucca, compresi i maggiori giuristi del paese, mentre altrove (ad esempio nell’Argentina dell’amico Milei) una legge uguale veniva cancellata, e sarebbe rimasta impantanata in Parlamento forse per sempre se Meloni e la maggioranza non si fossero trovati disarmati per il 25 novembre. Dunque che fare? La cosa più semplice: fingere di aderire a una boldrinata improponibile, la modifica dell’art. 609 bis del Codice Penale con il concetto di consenso “libero e attuale”, rendere l’endorsement credibile mettendogli appresso un pezzo da novanta come l’avvocato Bongiorno, dopo di che attendersi l’ondata di indignazione generale a cui rispondere con un voltafaccia, facendo passare nel contempo, con l’altra mano, una porcata anche peggiore, quella appunto sul “femminicidio”.

La tattica sterile di Meloni & Co.
Così è accaduto. Meloni e la sua maggioranza si sono presentati al metal detector del controllo democratico esibendo platealmente un bazooka, l’hanno dovuto per forza di cose abbandonare, e sono passati oltre ai controlli portando tranquillamente in tasca una dose da cavallo di cianuro. L’esito è apparentemente positivo: Meloni e i suoi passano ora per quelli ragionevoli, quelli che hanno “ascoltato la gente” e gli esperti che sui social e sui giornali hanno alzato le barricate contro il consenso “libero e attuale” (le sparate lunari del giudice Fabio Roia hanno molto aiutato in questo senso), subito tutte le persone di buon senso hanno tirato un sospiro di sollievo, noi inclusi (lo ammettiamo, ci siamo cascati con tutti i calzini). Se non che poche ore dopo il seppellimento in Senato della mefitica proposta sul consenso “libero e attuale”, Meloni e la sua maggioranza alla Camera hanno organizzato un’ammucchiata bipartisan per approvare all’unanimità una legge ancora peggiore, proprio quella sul “femminicidio”. Così, in poche ore si è passati da uno scenario di scampato pericolo a che tutti gli uomini fossero considerati stupratori fino a prova contraria a uno scenario dove de iure e de facto la vita di un uomo vale meno di quella di una donna. Il classico percorso padella-brace, che sembra non smuovere nessuno, forse perché quando si tratta di scopare serenamente il livello di comprensione e consapevolezza richiesto è molto più basso di quando si tratta del principio di uguaglianza di fronte alla legge.
Meloni e i suoi hanno calcolato tutto questo? Certo che sì. La vera domanda è se quello della Boldrini che ora frigna sui social insieme ai suoi sodali e della Bongiorno che promette con sguardo truce «la legge sul consenso si farà» (forse è la sorpresina da tenere in caldo per il 25 novembre 2026?) è tutto un teatrino concordato oppure no. Noi crediamo di no. Meloni e i suoi hanno da sempre questa modalità scaltra di muoversi per singole tattiche volte a sterilizzare le tematiche-guida di sinistra, anche per rispondere a un interiore senso di inferiorità che li spinge a superare gli avversari nello zelo con cui producono mostruosità. Siamo certi che il Presidente Meloni ora se la ghigna beatamente per lo scacco matto dato ieri agli avversari politici. Tuttavia, ne siamo altrettanto certi, sta commettendo un grave errore politico: gli elettori sembrano stupidi, ma non lo sono. Capiranno (e noi faremo il possibile per farglielo capire) che questo modo di fare politica sul cadavere dei principi fondanti e dei diritti di tutti non è cosa che meriti un voto rinnovato alle urne. Questa sterile rincorsa a sgambettare l’avversario per vederlo ruzzolare un attimo, mentre a breve, con la complicità del Presidente della Repubblica, in Italia passerà una norma discriminatoria come non se ne vedevano dal 1938, non passerà né inosservato, né impunito. Ci sarebbero altri modi per demolire le fondamenta di una sinistra talmente incancrenita in posizioni di potere da rappresentare un blocco per la dinamica democratica del Paese, ma a Meloni e ai suoi quei modi non interessano. Com’è tipico della politica più miope che va per la maggiore da trent’anni, il loro orizzonte è a breve-brevissimo termine. Avranno modo di verificare, ne siamo certi, alle prossime tornate elettorali quanto profondamente si stiano sbagliando.