di Davide Stasi. La vicenda di Viviana Parisi, DJ torinese trapiantata in Sicilia, dove viveva con il marito Daniele e il figlio Gioele, è nella sua tragicità paradigmatica degli effetti devastanti della propaganda femminista martellante nel nostro paese. Quella che veicola, con un’ininterrotta salmodia, pronunciata da ministri, opinion-maker, media di massa e associazionismo vario, un messaggio univoco e indiscutibile: gli uomini sono tutti cattivi, violenti e carnefici, mentre le donne sono tutte buone, pacifiche e vittime. Una bugia colossale che, ripetuta all’infinito, com’è noto, diventa verità. Una verità che si incarna negli automatismi mentali di tutte le persone incapaci di farsi quella domanda in più, prive delle difese immunitarie intellettuali ed etiche per sottoporre a critica gli ingredienti del pasto che vengono quotidianamente costrette a ingurgitare. Quello che arriva dalla lercia cucina del sistema è una sbobba velenosa, che permea tutti i meccanismi interpretativi dell’opinione pubblica, che così valuta, giudica e parla in termini femministi. Cioè in termini di falsificazione della realtà.
I fatti. La donna pativa la lontananza da Torino e la fase di lockdown, secondo chi la conosceva, l’aveva psicologicamente prostrata: alcuni referti medici recenti parlano di seri problemi psichiatrici. Oltre a non potersi muovere da Milazzo, era preoccupatissima della tenuta economica della famiglia, un insieme di fattori che l’avevano indotta all’utilizzo di farmaci antidepressivi. Negli ultimi tempi, con la fine delle restrizioni anti-covid, progettava di andare a trovare i genitori in Piemonte e si era rimessa al lavoro con il marito, occupandosi di quella musica che era la sua ragione di vita, e tutto ciò l’aveva un po’ rincuorata. Nessuno testimonia di problemi di coppia (anzi), non ci sono denunce pregresse, niente che faccia pensare a una fuga da un marito violento e oppressivo. Eppure la donna, per motivi ancora tutti da comprendere, va alla deriva. Prende il figlio, dice che andrà a comprargli delle scarpe poco lontano, ma devia dal percorso e il resto della tragica storia è cosa parzialmente nota e già narrata dai media mainstream. Le risposte ai molti “buchi” nella vicenda potrebbero venire dall’autopsia sul corpo, dalle indagini degli inquirenti e dall’esito delle ricerche del piccolo Gioele, di cui al momento ancora non c’è traccia.

Commenti che, come schegge impazzite, fanno a pezzi l’immagine di quel marito.
Ciò che interessa qui sono altri due aspetti: la reazione di Daniele Mondello, suo marito, e l’ampia audience che sotto gli articoli web dei vari quotidiani e sulle varie pagine dei social hanno commentato la notizia e la reazione stessa dell’uomo. Questi reagisce alla scomparsa postando sul suo profilo Facebook un video dove appare provato, stravolto. Cerca di essere persuasivo (“Viviana, ascoltami bene”), tranquillizzante (“hai fatto solo un incidente, non succederà niente né a te, né al bambino né a me”), accogliente (“ti aspettiamo tutti a braccia aperte”), dopo di che scoppia a piangere. Il suo è il volto di un uomo semplice sotto la pressa di un’assenza lacerante: è spettinato, ha la barba lunga. Anche le parole sono quelle di un uomo semplice, non di un raffinato intellettuale capace di pesare le parole. Le sue sgorgano direttamente dall’anima strappata dall’attesa e dal dolore, è evidente. Com’è evidente che sta parlando a una persona che sa essere in pesanti difficoltà psicologiche. Con gli strumenti che ha, tenta di persuaderla a mettere ordine in quello che probabilmente è uno stato confusionale dovuto a un incidente capace di rompere l’equilibrio di una mente già prostrata da un lungo stress.
In questo scenario si innestano gli effetti più raccapriccianti della propaganda, espressi nelle parole di un vero e proprio esercito di commentatori. Le parole, il tono, la faccia di Daniele non piacciono. Le sue parole, che in un contesto normale dovrebbero suscitare pietà ed empatia, o quanto meno un rispettoso silenzio in attesa di capire cosa sia davvero accaduto, a molti suonano come una minaccia velata. I media sollecitano questa lettura riportando solo una parte della sua frase: “non succederà niente né a te, né al bambino”, cioè troncando quel fondamentale “né a me”, con cui Daniele evidentemente si riferisce a tutta la famiglia e alle difficoltà economiche che tanto avevano ossessionato Viviana durante il lockdown. Semplice logica, che però non regge all’abitudine ormai radicata in gran parte dell’opinione pubblica di vedere del marcio dietro ogni evento, persona, frase pubblica, secondo un complottismo a trecentosessanta gradi che non risparmia niente e nessuno. E che nel caso di Daniele è istantaneo in quanto facilitato dal suo essere uomo, per di più dall’aspetto trasandato e dall’eloquio poco raffinato e dai messaggi dei media che con allusioni sottili o in modo vergognosamente esplicito suggeriscono l’unica chiave di lettura possibile: Viviana scappava da lui. Ecco allora materializzarsi un esercito di improvvisati criminologi, psicologi, psichiatri, commissari di polizia, giudici inquirenti e giudicanti, con commenti che, come schegge impazzite, fanno a pezzi l’immagine di quel marito. E lo fanno in quanto uomo, non per altro.
Si attende una richiesta di perdono.
Lo spettacolo di questa cinquantina di commenti presi a caso sul web è oggettivamente indegno. Un vero e proprio massacro basato sul nulla. Un gigantesco mucchio di letame morale travestito da pensieri e opinioni esibito in pubblica piazza, tra “intuizioni femminili”, farneticazioni sentenziose da parte di uomini e donne, traumi infantili mai risolti (“ricorda le frasi che diceva mio padre prima di punirmi”), il tutto con un comune denominatore: lei è una vittima e lui ne è il carnefice. Gente qualunque, con nome e cognome, dice la propria, con la profondità e le argomentazione di un beone da taverna, incurante del vissuto profondo e della reputazione di un uomo. Ma soprattutto ignara di rappresentare così il sintomo più evidente di una malattia ormai radicatasi nel profondo del corpo sociale: la dilagante e pervasiva propaganda femminista. Costoro dicono ciò che dicono perché lo pensano veramente. E lo pensano veramente perché così gli è stato insegnato a pensare dagli ossessivi e martellanti messaggi che ben conosciamo, diffusi a reti unificate, ventiquattr’ore su ventiquattro, trecentosessantacinque giorni all’anno. Validi sempre, anche senza che Daniele Mondello sia stato nemmeno indagato, anzi sebbene sia una tragica vittima della vicenda. Come accade ai peggiori estremismi, il femminismo fa il giro e torna su se stesso, inducendo intere masse a fare victim blaming, ossia ciò che dichiara viene applicato sempre alle donne che pretende di rappresentare e difendere.
Così si chiude ogni spazio all’idea che la donna possa aver deciso di uccidere il figlio e occultarne il cadavere per poi togliersi la vita, perché magari aveva qualcosa da nascondere che non poteva più nascondere, o per uno stato psicotico che l’ha indotta a gesti tragici e incontrollati (come sostiene la criminologa Ursula Franco), o perché il figlio alla fine le ha sconvolto troppo la vita che conduceva prima e che le piaceva, come sembra trasparire dal suo ultimo messaggio su Facebook (postato sul profilo del marito). Nessun varco si apre all’idea del mero incidente accaduto per lo stato confusionale di Viviana. Nessuna remora, nessuna pietà se c’è un uomo da colpire e criminalizzare. Non solo: nell’ipotesi che Viviana abbia ucciso e seppellito Gioele per poi togliersi la vita, i media fin da subito hanno iniziato a costruire alibi e giustificazioni per la donna, ed è noto quali parole di condanna senza appello vengano scritte le rare volte che a uccidere i figli è un padre. In tutto questo delirio famelico e feroce contro la maschilità in quanto tale, si attende una richiesta di perdono, umiliata com’è giusto chi sia, non solo e non tanto dai media di massa, che fanno solo il proprio sporchissimo lavoro di regime, quanto da parte dei commentatori il cui male interiore abbiamo fotografato e messo qui in evidenza, più tutti gli altri che hanno similmente esibito l’effetto della sudicia patina femminista incrostata sui loro già microscopici cuori e cervelli. Troppi, davvero troppi per fotografarli tutti e mostrarli qui.