“Vuoi abbassarmi le mutandine?”. Parole di mamma. Ma i giudici archiviano.

di Davide Stasi. Quella che racconteremo è, purtroppo, una storia vera e ancora in corso. Ce la consegna in una lunga telefonata, seguita da una lunga email gonfia di allegati, Alessandro (nome vero), padre cinquantenne di Bologna, separato, con un figlio oggi di sei anni che chiameremo Ivan (nome inventato). Nel 2018 è ancora sposato con Cristina (nome di fantasia), con cui la relazione è sempre stata normale, a parte i soliti alti e bassi. In quel periodo Cristina, andando contro il parere di un neuropsichiatra infantile, insiste a far dormire con sé nel letto il piccolo Ivan e incomincia ad avere comportamenti inusuali. Sbalzi d’umore improvvisi, comportamenti febbrili, agitazione, confusione mentale, che sfociano in un incidente in cui distrugge la propria auto, mentre Ivan è a bordo. Stavano andando assieme da due amici toscani della donna, li chiameremo Giulio e Maura (nomi inventati), una coppia con cui in quel periodo Cristina inizia una frequentazione assidua. In quel momento il rapporto di coppia sbanda, anche perché Cristina comincia a sottrarre denaro dalla cassaforte comune senza condividere la cosa con Alessandro.

La condivisione era la cifra caratteristica della coppia: Alessandro e Cristina avevano l’uno l’accesso ai cellulari, account e computer dell’altra. Un bel gesto di trasparenza e fiducia, che però dischiude le porte di un inferno. All’inizio del 2019, mentre aggiorna alcune app del telefono di Cristina, Alessandro si imbatte in una chat molto spinta tra la compagna e Giulio. Inequivocabilmente i due sono amanti. Alessandro rimane scosso nel leggere quello scambio e raggelato quando i due si ritrovano a parlare del piccolo Ivan. “Cristina introduceva nella conversazione grossolanamente sessuale”, racconta Alessandro, “l’argomento della sessualità del bimbo. Si lamentava con lui che Ivan tentava insistentemente di toccarla nelle parti intime con il pene in erezione. Chiedeva allora all’amante di intervenire. L’uomo diceva che sarebbe intervenuto immediatamente, che solo lui avrebbe potuto aiutarlo, purché il bambino gli venisse lasciato da solo. La madre concordava pienamente”. Devastato dall’angoscia, Alessandro chiede conto alla compagna di quello scambio di battute. Volano accuse incrociate e insulti. Si aprono le porte della separazione.

Si faceva toccare la vagina dal bambino.

Non può essere diversamente, visto che pochi giorni dopo Cristina prova ancora a sottrarre segretamente dalla cassaforte 1.500 euro. Alessandro se li riprende, durante una discussione che registra con il cellulare. Cristina è fuori di sé, aggressiva, cerca palesemente la reazione del compagno, che però si limita a chiamare i Carabinieri. Il loro arrivo pacifica la situazione, Cristina stessa minimizza l’accaduto. Alessandro tuttavia ritiene meglio allontanarsi di casa. Nei giorni successivi gli vengono notificate tre denunce: rapina, maltrattamenti in famiglia e tentata violenza sessuale. A querelarlo è Cristina e a nulla valgono le registrazioni audio o le email dove Cristina si dimostra aggressiva e, nel recente passato, più che proattiva sessualmente con l’uomo che poi denuncerà come stupratore. Il PM incaricato non si degna nemmeno di prendere in considerazione le prove a discarico. C’è una legge non scritta in Italia: l’uomo deve arrivare al procedimento di separazione con dei carichi pendenti sulle spalle. Le procure sono estremamente zelanti nel far rispettare questo tipo di leggi e infatti un mese dopo il giudice Rossella Matera non ha esitazioni a decretare l’allontanamento di Alessandro da casa, con due ore di incontri protetti a settimana con il piccolo Ivan. Subito dopo Cristina va per due settimane insieme al bambino dai due amici toscani, “da quell’uomo tanto interessato ad occuparsi delle erezioni inopportune di un bambino di cinque anni”, commenta Alessandro.

Quando un uomo è vittima di false accuse, per scagionarsi deve pensare a tutto. Avendo subìto una truffa telefonica in passato, Alessandro da tempo registrava tutte le telefonate, in arrivo e in partenza. Saggiamente il suo legale lo consiglia di andarsi ad ascoltare le registrazioni e lì i suoi sospetti trovano una terrificante conferma. “Trovo, datata 6 luglio 2018”, racconta Alessandro, “una telefonata della mia compagna, fatta dal mio cellulare, all’amica fiorentina, dove le racconta dei contatti di natura sessuale che ha con mio figlio. Cristina fa riferimento a qualcosa accaduto il giorno prima: si faceva toccare la vagina dal bambino, il quale toccava anche se stesso e aveva il pene in erezione”. Il bambino viene descritto come eccitato e ovviamente turbato, non potendo comprendere la natura della situazione, nel momento in cui ha una specie di orgasmo, come lo può avere un bimbo di cinque anni. Cristina parla anche di un video che ha girato di quei momenti e che ha mandato a Maura, l’amica fiorentina. Questa imita la vocina di Ivan: “facciamo un filmino, così facciamo vedere anche alla Maurina come si gonfia solo un pochinino”. Non c’è intento educativo nell’atto, lo dice Maura stessa nella telefonata: “Stronza, proprio! Te sei proprio una merda, veramente stronza!”, dice a Cristina, con il compiacimento tutto femminile di quando si condividono gli effetti della manipolazione di un maschio. L’ex compagna di Alessandro conferma, aggiungendo come carico la descrizione dei giochi psicologici con cui ha convinto il piccolo Ivan a non dire nulla al padre di quelle loro attività così intime e così improprie.

Forse sono consci che è una frequentazione malsana?

Alessandro presenta subito la registrazione nell’ambito della causa di separazione. Il giudice non crede alle proprie orecchie, nemmeno quando Cristina dice che stava solo soddisfacendo la richiesta del bimbo che voleva sapere da dove esce la pipì nelle donne. Circostanza che, ascoltando la telefonata con l’amica fiorentina, risulta tutt’altro che credibile. Il giudice sa, lo sa tutta la comunità scientifica, che l’abuso sessuale materno è il più grave in assoluto, anche per il suo carattere subdolo, apparentemente piacevole all’inizio. Lo stesso legale di Cristina commenta in aula: “certamente queste cose non devono succedere”. Ed è un commento sorprendente dato che si tratta di Andrea Coffari, noto per essere il difensore di Claudio Foti, ma soprattutto uno dei più strenui difensori dell’abusologia verificazionista. Quella secondo cui qualunque cosa è segno di un abuso sessuale in un minore, da una riga storta in un disegno a una parola inusuale. In questo caso si è di fronte a una telefonata con contenuti già agghiaccianti, che a rigore dovrebbero indurre Coffari a rimettere il mandato, come minimo. Ma non lo fa. Forse perché le sue teorie abusologiche sono valide solo quando l’accusato è un uomo, un padre, chissà. Non solo: nella vicenda si prefigura in modo quasi chiaro, a questo punto, un caso di pedofilia femminile. Un tabù, che ogni ricerca scientifica certifica come difficilissimo da far accettare dal lato culturale e sociale, ma soprattutto all’interno dei tribunali. Per questo le moltissime pedofile, e sono veramente tante (basta farsi un giro nel dark web per farsene un’idea), la passano liscia.

Il giudice che segue il caso lo sa e vuole vederci chiaro. “Io questi video li voglio vedere”, intima a Cristina e a Coffari. Pochi giorni dopo produrranno due video, gravi e inquietanti, che però non corrispondono alla descrizione fatta nella telefonata. Non compare il pene eretto del bimbo, ma si tratta comunque di interazioni di natura indiscutibilmente sessuale, con turbamento del bambino e toccamenti intimi; il tono della donna è malizioso, e certamente non educativo. La giudice, sollecitata dall’avvocato di Alessandro, si accorge che i video, già esplicitamente disgustosi di loro, non corrispondono a quello descritto nella famosa telefonata. Cristina e Coffari assicurano che è quello, anche dopo un’ulteriore verifica, fino a dichiarare in udienza che “non esistono altri video”. Poco tempo dopo Alessandro riesce a risalire alla data di realizzazione del file: un giorno dopo la famosa telefonata tra Cristina e Maura. E questo significa diverse cose: la prima è che la sua ex e il suo avvocato o stanno mentendo al giudice, o si sono confusi, o hanno perso il video incriminato e non sanno come uscirne. La seconda è che se il 6 luglio 2018 Cristina raccontava del video dell’abuso a Ivan fatto il giorno prima e il 7 luglio ne gira un altro, quelle “esplorazioni” videoriprese e inviate agli amici toscani erano molto, molto frequenti. Una prospettiva chiara, raggelante. Non a caso il giudice chiede ad Alessandro se intende presentare una denuncia nei confronti di Cristina, sentendosi rispondere ovviamente di sì. Il giudice intima allora alla donna il divieto di condurre ancora Ivan in Toscana da Giulio e Maura. Cristina e il suo legale non si oppongono (forse sono consci che è una frequentazione malsana?), anzi giurano e rigiurano che obbediranno al decreto.

Andrea Coffari

Per risolvere questa occorre sollevare un caso mediatico.

Poco tempo dopo Cristina fa ciò che vuole, prende il bambino e torna in Toscana dai due amici, con cui è lecito supporre che abbia un ménage à trois, di cui Ivan è in qualche modo indirettamente partecipe. Alessandro viene a sapere degli spostamenti di Cristina e denuncia subito il fatto, chiedendo l’affido esclusivo, che però (ovviamente) gli viene negato. Il massimo che ottiene è l’inserimento della violazione all’interno del procedimento di separazione. Che si svolge come al solito: le evidenze criminose a carico di Cristina non contano nulla. Si fosse trattato di un uomo, sarebbe stato già da tempo in prigione, brutalizzato dagli altri carcerati, con il divieto assoluto di vedere il figlio. Trattandosi di una donna, si applica subito tutto il solito sistema protettivo fatto di CTU e consulenze varie, dove la verità viene annacquata, salvo momenti di lucidità, come quando si scrive che Ivan è stato chiaramente “esposto a situazioni pedopornografiche”, ma non si sa da parte di chi (e di chi mai???), e che il rapporto tra madre e figlio è promiscuo e probabilmente deviante. A carico di Alessandro: zero, tutto perfetto. Ma il copione è il solito, tutto sfocia nella formula “reciproche accuse di maltrattamenti e abusi”. Statisticamente è sempre così: il conflitto è colpa di entrambi, quando in realtà è la madre ad avere delle responsabilità. Nei fatti, Ivan resta con la madre. E insieme al resto, come non fosse già abbastanza, aggiunge un’aperta attività di alienazione psicologica di Ivan dal padre. “La qualità della relazione tra mio figlio e me in questo anno è crollata verticalmente”, mi dice Alessandro al telefono, con la voce rotta.

Ha ottimi motivi per essere abbattuto. Non solo suo figlio di sei anni è in mano a persone che, stando ai fatti, sembrerebbero pericolosamente inclini all’abuso sessuale su minori e alla pedofilia. In aggiunta, lui che cerca di salvarlo viene lasciato solo. Nonostante le registrazioni e i filmati, la sua denuncia viene archiviata. Passa l’idea che si trattasse di un innocuo gioco educativo tra mamma e figlio. Le procure da quell’orecchio  non ci vogliono sentire, i totem e i tabù non si toccano, specie quelli che riguardano le donne. Oltre al resto, tira una brutta aria in Italia per la magistratura e per chi si mette contro il genere femminile, quindi meglio archiviare. “Non c’è dubbio”, dice Alessandro, “che i giudici abbiano archiviato per farmi ingoiare l’abuso di mio figlio. Ma non ci riusciranno. Ho consultato fior di luminari: se non si ferma la cosa ora, Ivan da grande sarà come minimo un abusante, sicuramente un pedofilo lui stesso”. Gli stessi esperti hanno anche altre due certezze: se ad essere accusato fosse stato un uomo, la questione sarebbe già bell’e risolta. Per risolvere questa occorre sollevare un caso mediatico. Alessandro ci ha provato: ha raccontato la sua vicenda in una diretta YouTube (di cui possiamo mandare il link su richiesta, via email) e anche a “Il Giornale”, che sul suo caso ha fatto uscire un articolo e una videointervista molto ben fatti, il 13 marzo scorso, a firma Elena BarlozzariAlessandra Benignetti. Non l’avete visto? Per forza: l’avvocato Coffari è subito intervenuto minacciando querela e “Il Giornale” ha ritirato tutto. Qui uno spezzone del video realizzato dal quotidiano milanese, dove Ivan viene coinvolto nei giochi dalla madre:

Di certe cose non si deve parlare. L’abusologia da strapazzo, in alleanza con il femminismo, ha una tesi da sostenere: i pedofili, i violenti e gli abusanti sono sempre gli uomini e mai le donne. Niente deve uscire di questa storia, dunque. Però io mi sono letto tutto il materiale disponibile, mi sono ascoltato tutti gli audio e soprattutto ho visto i video di Ivan e Cristina e ritengo un dovere raccontare questa storia. Un dovere anche è rivolgermi ai magistrati di Bologna che se ne stanno occupando, quelli dal lato civile, che ancora lasciano il piccolo in mano a una donna sul cui equilibrio e sulla cui condotta si stende più di un’ombra, e quelli dal lato penale, che hanno archiviato la patata bollente. A loro mi rivolgo, rispettosamente ma senza peli sulla lingua: non è un bel momento per la magistratura. Non sarebbe inopportuno dare un contributo affinché un organo così importante possa recuperare un po’ di credibilità. Il doppio standard tra uomini e donne ha raggiunto livelli intollerabili, e lo sapete. Il caso di cui stiamo parlando è uno dei più emblematici. Da cittadino vi chiedo coraggio e di mettervi al lavoro seriamente. Da non-giornalista dico alle giornaliste de “Il Giornale” che avevano fatto un ottimo lavoro: peccato che la loro redazione, come quella di ogni altro media mainstream italiano, si sia dimostrata pavida su questa vicenda. Da semplice comunicatore dico a chi fosse già pronto a premere o a minacciare querela per far cancellare questo articolo: lasciate stare. Ben accette sono sempre le rettifiche, se qualcosa di scorretto è stato qui scritto (e sarebbe strano, visto che ho usato fonti accertate). Le intimidazioni invece da queste parti le viviamo come un eccitante o un afrodisiaco, dunque sarebbe solo autolesionista da parte vostra. Pensate piuttosto a ridare a Ivan la sua libertà, il suo benessere, la sua vita. E la sicurezza attraverso suo padre.

Print Friendly, PDF & Email


Condividi