Sei un uomo? Arrangiati, devi soffrire! Questo, in estrema sintesi, sembra essere il nobile principio che ha ispirato la Corte di Cassazione nell’emettere l’ordinanza 12249/25. Questo articolo ne riporta alcuni stralci: «Nessun provvedimento di assegnazione di porzioni di casa familiare ovvero di altre unità immobiliari che non costituiscono habitat dei figli, può rendersi in favore del genitore non convivente con la prole, restando estranea, nella fattispecie, ogni valutazione relativa alla ponderazione degli interessi di natura solo economica o abitativa dei genitori (…) In questo caso, invece, il giudice di merito è intervenuto assegnando una parte dell’immobile (il primo piano) al genitore non convivente con la prole in considerazione delle sue esigenze abitative, riducendo, senza alcun motivo collegato all’interesse diretto della figlia, l’habitat domestico di quest’ultima». Nell’articolo si legge anche altro. Ad esempio che la signora, pur essendosi risposata, è rimasta a vivere col nuovo marito nella ex casa coniugale assegnatale al momento della separazione; che i due figli maggiori sono indipendenti economicamente e da tempo non vivono più con la madre; che la figlia più giovane ha raggiunto anch’essa la maggiore età.
Altri particolari non compaiono nell’articolo ma ci si può arrivare per deduzione: la separazione dovrebbe essere abbastanza datata visto che tutti e tre i figli sono divenuti maggiorenni, alla separazione ha fatto seguito prima il divorzio e poi il nuovo matrimonio della signora. Non è chiaro quale fosse la situazione reddituale e patrimoniale del nucleo familiare al momento della separazione, ma non dovevano passarsela male. Hanno una villa a due piani con giardino che l’uomo ha lasciato alla moglie potendosi pagare per anni un’altra sistemazione, inoltre ha potuto versare assegni considerevoli per moglie e tre figli, li ha fatti studiare, li ha resi indipendenti. Non si sa nulla sulle attività ricreative extrascolastiche, sport, vacanze etc. Poi qualcosa deve essere andato storto, o speculazioni sbagliate, o licenziamento, o fallimento dell’azienda, o è semplicemente l’avanzare dell’età che non consente più all’uomo le attività precedenti.
Lo strabismo anti-uomo.
Anche questi sono particolari che l’articolo non cita, resta il fatto che l’ex marito non ha chiesto nulla per anni, ma arriva il momento in cui la sua situazione reddituale precipita e l’uomo versa in una condizione di bisogno a causa di problemi sia economici che abitativi. Sa che dalla villa sono usciti due familiari su quattro, chiede quindi la divisione dell’immobile (del quale ha la comproprietà) per poter vivere al primo piano. La ottiene sia dal giudice di prime cure che dalla Corte d’Appello, ma la signora proprio non vuole lasciargliela e ricorre in Cassazione. A piazza Cavour sono drastici: «non se ne parla». Interessanti le motivazioni che, come spesso accade, trasudano l’italica ipocrisia di mascherare la maternal preference spacciandola per diritti del la prole. Anche quando di minori non c’è più traccia perché i figli sono tutti abbondantemente maggiorenni, ma il pretesto è la ragazza che ancora vive attaccata alle gonne di mammà. Vogliamo impedire a questa povera ragazza di farsi un giretto nella ex stanza dei fratelli (quella della quale aveva bisogno il padre) anche se lei dalla nascita ha la sua stanza? Vogliamo impedirle di dormire i giorni pari nella sua stanza e i giorni dispari in quella dei fratelli? Mai sia, quindi il principio magico è che il padre al piano di sopra ridurrebbe «senza alcun motivo collegato all’interesse diretto della figlia, l’habitat domestico di quest’ultima».
L’habitat domestico per la figlia è addirittura aumentato, prima doveva dividere con i fratelli l’uso dei bagni, la cucina, la sala hobby, il salone, la veranda e tutti gli spazi comuni interni ed esterni. Però è un’ottima scusa parlare di diritti della ragazza, pare brutto dire che la madre non vuole l’ex tra i piedi e gli Ermellini la assecondano. La morale in questa sentenza: puoi anche possedere un castello, con la separazione lo perderai e non ne rientrerai in possesso mai più. Ufficialmente viene assegnato alla ex per garantire il diritto dei figli a conservare l’habitat domestico, in realtà è un privilegio elargito alla donna inquantodonna. Non lo riavrai se lei convive con un altro uomo, non lo riavrai nemmeno se si risposa, non lo riavrai se i figli se ne vanno, non ne riavrai nemmeno un pezzettino se cadrai in disgrazia e non saprai dove andare a dormire. Strappare alla figlia superstite anche solo una minima porzione dell’habitat domestico potrebbe essere traumatizzante. Lo rivedrai in un solo caso: se la signora si lega a un uomo che vive altrove e decide di trasferirsi da lui. Allora in quel caso la figlia può perdere non solo una porzione ma l’intero habitat domestico, non è più traumatizzante, non è una violazione dei suoi diritti e del suo best interest poiché il best interest cambia e diventa quello di seguire mammà. Dalla culla del patriarcato è tutto, a voi la linea.