Quanto accaduto a Vignola è una perfetta rappresentazione delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo. Non c’è niente da fare, nemmeno davanti all’evidenza viene riconosciuto il fenomeno delle accuse da Codice Rosso inventate di sana pianta. Il vittimismo femminile, la criminalizzazione maschile e la narrazione tossica dilagano, eppure tutti – dal Parlamento alle amministrazioni locali – si accaniscono ad ignorare l’emergenza sociale che ne deriva, ormai da anni. Veniamo ai fatti. A Vignola una 30enne denuncia di essere stata inseguita, aggredita e violentata in strada al termine di una cena con amici. Italiana la sedicente vittima, straniero il presunto colpevole.
Gli inquirenti lavorano per settimane alla cattura del terribile stupratore, ma non approdano a nulla perché lo stupratore non esiste. Non era vero niente, la ragazza ha inventato tutto: nessuna aggressione, nessun inseguimento, nessuna violenza sessuale. «Archiviazione, notizia di reato totalmente infondata» è la dichiarazione della Procura dopo aver effettuato tutte le verifiche possibili. E dopo il comunicato della Procura partono le dichiarazioni della sindacA, Emilia Muratori. Esprime rammarico per aver impegnato inquirenti e forze dell’ordine alla ricerca di un colpevole inesistente? Sollecita a non utilizzare strumentalmente la giustizia, denunciando violenze costruirle sul nulla? Esprime biasimo per la ragazza che ha sollevato un polverone ignobile, mentendo?Niente affatto.

La sindacA, restando seria, ha dichiarato: «La nostra prima reazione è stata di sollievo, per la giovane prima di tutto che, alla fine, non ha dovuto subire nulla di quanto era stato raccontato». Notare l’espressione utilizzata, le parole hanno un senso: la giovane non ha dovuto subire nulla di quanto era stato raccontato. La formula è impersonale – “è stato raccontato” – come se la ragazza non c’entrasse nulla e tutto il casino fosse nato dal misterioso autore di una telefonata anonima. No, la responsabilità è precisa: l’allarme nasce dal racconto della sedicente vittima, è lei – e solo lei – che ha inventato fatti inesistenti gettando nel panico l’intera cittadina di Vignola. È sollevata, la sindacA, e tiene a precisare che nella sua città tutto funziona alla perfezione: «dobbiamo ringraziare le forze dell’ordine che, fin dall’inizio, avevano lavorato con meticolosità, nonostante le polemiche e le accuse incrociate, le telecamere a Vignola ci sono, funzionano». Poi la perla: «qualcuno dovrà rispondere della trepidazione suscitata nella popolazione, grave danno di immagine procurato alla nostra città».
Ah si? Chi mai sarà questo qualcuno, se non la sedicente vittima che vittima non era affatto? Non una parola sulla narrazione falsa, la preoccupazione della sindacA è concentrata sull’aspetto politico della vicenda: le opposizioni non devono dire che Vignola non è sicura a causa degli immigrati, chi lo dice è razzista. Magari la più razzista di tutti è proprio la sedicente vittima, che inventando lo stupro ha pensato bene di accusare un generico uomo di colore. Ora Il procuratore capo di Modena, Luca Masini, spiega che «sono in corso i dovuti approfondimenti finalizzati a chiarire le motivazioni che hanno determinato la denunciante a proporre querela». Chissà qual è il mistero che deve emergere. Una mitomane che voleva essere al centro dell’attenzione? Una che cade da sola, si ferisce e inventa un’aggressione per non ammettere che era ubriaca? Una che inventa la violenza per far ingelosire l’ex fidanzato? O magari vittimismo politico: qualcuno potrebbe insinuare che la tizia è una provocatrice pagata per raccontare menzogne gettando discredito sugli immigrati. Dopo tanta fuffa, resta una certezza sola: le false accuse sono una realtà dilagante e scomoda. Per questo tutti, a partire dalle sindacHE, si guardano bene dal parlarne.