Abbiamo visto ieri come alcuni attivisti arcobaleno continuino a supportare affermazioni e tesi ormai sconfessate da una schiacciante evidenza scientifica internazionale: posizioni ideologiche superate che però si ostinano a difendere, come i soldati giapponesi solitari che continuavano a combattere contro gli Alleati anni o decenni dopo la fine del conflitto. Un’altra di queste teorie, molto diffusa, merita attenzione, il mito del “cervello transgender”: l’ipotesi, apparentemente supportata da alcune ricerche, secondo cui esisterebbero soggetti “autenticamente trans”, perché avrebbero alcune aree del cervello simili (per alcuni parametri fisici e misurabili) a quelle tipiche del sesso opposto. Lo scenario è suggestivo: questi poveri cervelli maschili imprigionati in corpi femminili, o viceversa… Peccato che queste ricerche ahimé sono ormai ampiamente sbufalate e dimostrate inattendibili, per almeno due principali ordini di ragioni (che diamo in estrema sintesi, e altre ce ne sarebbero da discutere; invitiamo gli interessati a approfondire ad esempio qui e qui): o perché presentano risultati che non si è mai riusciti a replicare, quindi non significativi; o perché, laddove si evidenziano risultati attendibili, questi non individuano l’intero campione dei soggetti esaminati, ma solo quelli omosessuali e/o quelli che hanno già subìto trattamenti con ormoni cross-sex, il cui effetto è precisamente quello di modificare il corpo nella direzione tipica per il sesso opposto.
Questo inghippo può facilmente sfuggire se ci si affida ciecamente ai titoli di gaynet o al sentito dire dall’attivista woke su youtube, al punto che anche soggetti capaci di individuare e contrastare le falsità ideologiche femministe, su quelle arcobaleno cascano, finendo per conferirvi un’aura di autorevolezza, e contribuiscono a diffonderle. Ad esempio lo youtuber “WannaBeHuman”, amico di LaFionda.com e solitamente attento e capace nello smontare le bufale del femminismo o di altri culti irrazionali, quando si parla delle teorie arcobaleno diventa un vero credente: in questo video propina varie favole ideologiche, come (al minuto 57′) quella secondo cui caratterizzare una parte dei soggetti “trans” come autoginefili (quelli che gli piace travestirsi) sarebbe una sciocchezza un po’ ridicola e messa in giro da “ledestre” cattive, laddove invece il concetto di autoginefilia, ideato dallo studioso Ray Blanchard – pioniere della ricerca sulla transessualità, favorevole alla “affermazione di genere” e uno degli estensori del DSM-IV e del DSM-V –, è ampiamente accettato nella comunità scientifica (benché osteggiato dagli studiosi queer e altri tipi di attivisti), applicato nella ricerca, e associato alla “disforia di genere” nello stesso DSM-V, testo certamente non tacciabile di “transfobbìa” (una trattazione esaustiva e non schierata si può trovare qui).
La biologia non conta.
Tra le bufale promosse, poco più avanti, c’è anche il mito del “cervello trans” (ovviamente propalato pure dai due attivisti arcobaleno di cui parlavamo nella prima parte, al minuto 53′). Viene affermato testualmente «ci sono studi che lo dimostrano», ma è scorretto: ciò che quegli studi dimostrano è altro e riguarda i soggetti omosessuali. Lo dice perfino, nelle conclusioni, la stessa review citata a schermo dallo youtuber al minuto 58′: «Soggetti con precoce disforia di genere e orientamento sessuale diretto verso il sesso opposto a quello proprio di nascita mostrano una distintiva morfologia cerebrale … Questa analisi sistematica conferma quindi due ipotesi preesistenti: 1) una limitata ‘intersessualità’ cerebrale nei transgender omosessuali e 2) l’intuizione di Blanchard secondo cui il cervello di un transgender omosessuale è fenotipicamente diverso da quello di uno non-omosessuale». Ma questa varianza fenotipica tra la popolazione omosessuale e quella eterosessuale era già nota da tempo. Per sostenere che sia tipica dei soggetti “trans”, dovrebbe valere per tutti questi soggetti e non solo per quelli omosessuali. Oltretutto, e anche questo non ci stupisce, questa bufala del “cervello trans” è una lama a doppio taglio per gli attivisti gender (e infatti alcuni stanno già facendo marcia indietro): da un lato confermerebbe l’esistenza di soggetti che sono “autenticamente e intrinsecamente trans”, dalla nascita, in un senso oggettivo e misurabile con un test empirico; dall’altro, l’esistenza di un aspetto oggettivo a prova della “condizione trans” non piace agli ideologi gender precisamente per il fatto che loro vogliono, anzi pretendono, come diritto umano fondamentale metafisico e inalienabile, di potersi autopercepire come gli pare e costringere per legge l’intera società ad assecondarli – senza dover passare nessun tipo di test clinico, diagnosi, verifica.
Questo smaschera definitivamente l’intenzione degli attivisti gender, che non è mai stata quella di difendere una categoria di persone dallo stigma delle etichette patologizzanti e offrire loro un’adeguata terapia. Lo abbiamo già visto scritto nero su bianco nei documenti politici dei “Pride”, ma vale la pena vedere un esempio di come ragionano questi ideologi proprio riguardo all’ipotesi del “cervello trans”. Scrive questa neuroeticista femminista intersezionale: «Lo scenario in cui un trattamento può essere negato a un paziente perché uno scan del cervello non è riuscito ad accertare la sua disforia è fortemente preoccupante. In realtà il cervello non è bianco o nero, è un organo complesso, plastico e malleabile … La legittimità delle identità trans non può dipendere dalla somiglianza o meno del cervello di una ‘persona trans’ a quello di una ‘persona cis’ del sesso opposto. Possiamo identificare una persona come ‘trans’ semplicemente informandola dell’esistenza delle identità trans, senza stigmatizzarle, e limitandoci ad ascoltare e a domandare alla persona stessa. C’è bisogno di un test del cervello per sapere se uno è etero, o glielo chiediamo e basta?» (come da prassi, anche qui i gusti sessuali e la “identità di genere” metafisica e autopercepita vengono messi sullo stesso piano) «Non dovremmo essere obbligati a farci convalidare dalla biologia, e nessuno dovrebbe essere costretto a dimostrare di essere ‘realmente’ di un certo ‘genere’, per poter essere trattato come una persona umana».
Agenda politica contro scienza.
Per essere trattato come una persona umana no di certo, ma se hai la barba e il bigolo e pretendi di imporre a tutti gli altri di essere trattato da donna, andare nei bagni femminili, gareggiare con le donne etc.; o se vuoi somministrare trattamenti farmacologici e chirurgici irreversibili a minorenni che ancora non hanno nemmeno attraversato la pubertà, solo perché magari a 10 o 12 anni dicono di essere “trans”, diventa veramente un minimo morale accettabile l’obbligo di fornire una prova molto, molto solida che tutto questo sia proprio strettamente necessario da un qualche punto di vista clinico. Ma quindi, in conclusione, che cos’è che dice l’evidenza scientifica aggiornata al 2025 sulle “terapie di conversione” per i soggetti “trans”, ovverosia qualsiasi approccio che non sia immediatamente “affermativo” dell’identità di genere di qualcuno (come l’attesa del completamento della pubertà, oppure una psicoterapia esplorativa tesa a riallineare la percezione del soggetto con il proprio corpo e a trattare, parallelamente, eventuali comorbidità sottostanti, la cui frequenza nei bambini e adolescenti con “disforia” è elevatissima)? In sintesi: a) l’idea che usare approcci alternativi e meno invasivi sarebbe deleterio per la salute del paziente, si basa su ricerche inattendibili e per di più fondate su una petizione di principio: la tesi che tutto ciò che non “afferma l’identità di genere” sarebbe “terapia di conversione” e quindi deleterio, è premessa e non dimostrata; b) «data l’assenza di solide evidenze scientifiche che attestino un rapporto positivo costi/rischi/benefici degli interventi biomedici per il trattamento della disforia di genere, soprattutto per i minorenni , appare auto-evidente che debbano essere perseguiti approcci meno invasivi prima di passare a quelli più rischiosi e irreversibili».
Tra questi approcci meno invasivi c’è sicuramente la psicoterapia esplorativa, esplicitamente prevista nello stesso “protocollo olandese” originario, e la cui efficacia terapeutica nel trattare condizioni di salute mentale di altro tipo – spesso compresenti insieme alla “disforia” – è solidamente attestata. Ho citato da questo paper del 2021, che illustra anche i problemi enunciati al punto precedente, ma conclusioni analoghe sono raggiunte dalle molteplici meta-analisi internazionali condotte negli ultimi anni, tra cui la già citata meta-analisi statunitense commissionata dall’HHS, che discute anche le altre (pp. 239-260). Gli attivisti arcobaleno a-là Zan la propaganda la fanno ben volenterosi di ignorare l’evidenza scientifica, perché il loro interesse è spingere un’agenda. Ma invitiamo tutti gli altri ad applicare la stessa lente analitica anche ai problemi qui proposti, e informarsi e aggiornarsi anche sulle fonti qui citate, prima di proseguire imperterriti a fare da cassa di risonanza alle falsità della propaganda arcobaleno. Fatta sulla pelle di bambini e adolescenti.