Un mese fa, il team de LaFionda.com che si occupa del canale YouTube ha rilasciato un video di critica (e in parte di satira) sui vari influencer e content creator che si posizionano nell’area degli antisessisti plus, laddove il “plus” (secondo loro) è un approccio politicizzato a sinistra. In sostanza costoro, diceva il video, prima scremano potenziali collaboratori e audience sulla base dell’appartenenza politica (chi è di sinistra è ok, chi no è fuori) e con quelli che rimangono, la crème de la crème (sempre a loro giudizio), si discetta di antisessismo. L’esito, sosteneva il video, è un solipsismo tra presuntissime e autodefinite élite intellettuali, circoletti malati di amichettismo, o meglio “compagnettismo”, del tutto inefficaci a combattere quello che loro chiamano appunto “sessismo”, che poi nell’epoca contemporanea è rilevante solo come femminismo (ma loro non possono dirlo, sennò rischiano di apparire di destra, oibò…). Meglio sarebbe, concludeva il video, ribaltare il processo a monte, ovvero raccogliere tutti gli antisessisti (= antifemministi), ignorando la loro affiliazione politica, fare massa critica per battere il sessismo (= femminismo) e, una volta eliminato il vero problema di base, tornare a discutere ognuno dalla propria posizione di sinistra, destra, sopra, sotto, eccetera.
Il video, che si rivolgeva essenzialmente a Yasmina Pani ma estendeva le sue riflessioni a tanti altri come lei, è stato molto criticato. Yasmina stessa, sebbene nel video ci siano numerose attestazioni di stima nei suoi confronti, ci ha scritto di essersi sentita “vilipesa” (manco fosse il Presidente della Repubblica). Ci è dispiaciuto, ma eravamo certi di aver colto nel segno. E quanto è accaduto all’evento “DIS-PARI” lo dimostra appieno. Organizzato proprio dalla Pani, insieme ai content creator Immanuel Casto e Leonardo Laviola, aveva il nobile obiettivo di aprire un confronto democratico e libero tra antisessisti (= antifemministi) e chi invece dà valore al femminismo. Per riuscire nell’intento erano stati invitati diversi esperti, tra cui anche il nostro Fabio Nestola (pare strano che l’abbiano invitato visto che collabora strutturalmente con “LaFionda.com”, ma non potevano farne a meno: su certi temi non si può prescindere da Fabio), disponibili a tentare un dialogo costruttivo con alcuni soggetti più o meno legati al femminismo. Qui c’è stato il primo scivolone, un’ingenuità ottimistica tipica di chi si muove in un’ottica politico-idealistica: a sostenere la parte femminista non erano state invitate, chessò, la Sen. Valeria Valente, l’On. Laura Boldrini o qualche maggiorente di qualche centro antiviolenza, bensì un paio di femministe tiepidine, quando non femministe pentite. Una strategia che poteva essere astuta nell’ottica di far riuscire il dialogo e poter dire di aver fatto qualcosa per avvicinare le parti, ma percorribile solo se ci si muovesse in un contesto di confronto democratico e aperto. Però così non è, e l’approccio ingenuo-idealista di chi politicizza la lotta antifemminista ha dimostrato di non rendersi conto che ci si sta muovendo in un contesto di vero e proprio regime.

Vi siete accorti del regime?
Che ci sia ingenuità lo dimostra anche la scelta della location, il “Monk” di Roma. Basta fare qualche ricerca per scoprire che si tratta di uno spazio che promuove prioritariamente temi e valori come l’inclusione sociale, l’antifascismo, l’ecologia, il femminismo, i diritti LGBTQIA+, l’economia solidale, il tutto ospitando eventi legati a movimenti sociali, attivismo, diritti civili. Non ci vuole molto per capire che il “Monk” è un luogo di ispirazione progressista o “di sinistra”. Dunque gli organizzatori di “DIS-PARI”, invece di cercare un luogo neutrale, quand’anche fosse stato un capannone in affitto, come avrebbe fatto chiunque conscio di vivere in un regime femminista, sono andati a cercare una location ideologicamente loro vicina. L’hanno fatto un po’ d’istinto, un po’ per provocazione, ma soprattutto, a nostro avviso, per poter uscire dall’evento dicendo: “avete visto? Abbiamo vinto noi, ora a sinistra si può parlare di certe cose!”. Cioè il loro obiettivo finale non era l’antisessismo (= antifemminismo) e la lotta contro il regime in vigore. Il loro obiettivo prioritario era tutto interno alla loro accolita politica. Prima ancora di non andargli giù tutte le devastanti brutture del femminismo, a costoro non va giù che a sinistra non si possano dire cose contro il femminismo. In pubblico, nei post, nei reels e nelle stories, dicono di volersi occupare anche delle discriminazioni contro gli uomini, ma in realtà la loro attenzione è concentrata solo verso quell’ectoplasma che loro identificano come “sinistra”. La stessa famosa vicenda della censura alla Pani da parte della Fondazione Feltrinelli non è altro che una scaramuccia tra “compagni”, niente che abbia a che fare con il sistema o che intacchi il regime.
Risultato di questo pateracchio politicizzato? Qualcuno ha messo alle strette il Monk di Roma costringendolo non solo ad annullare tutto a cinque giorni dall’evento, in modo da rendere impossibile il reperimento di un’altra location (anche se speriamo la trovino, e che possibilmente non sia la sede del PD), ma addirittura a postare delle storie su Instagram (vedi qua sopra) dove in pratica fa passare per stronzi gli organizzatori di “DIS-PARI” e per delinquenti i relatori invitati. Un comportamento vergognoso, imbarazzante, ma niente di sorprendente o nuovo, in realtà. Resta la domanda: chi è quel “qualcuno” che ha obbligato il Monk a mandare tutto a monte? Gran parte dei commenti (alcuni d’esempio qua sotto, con sottolineature in rosso nostre) dei follower degli organizzatori ha una sola parola in comune: “sinistra” (oppure “destra” ma in termini di contrapposizione). Cioè si persegue nell’errore di sovrapporre la politica alla realtà dei fatti, così perdendo di vista il vero soggetto colpevole di questa ennesima e vergognosa censura: il femminismo. Chi ha chiamato, minacciato o ricattato il Monk forse sono soggetti di sinistra, ma potrebbero anche non esserlo. Sicuramente però sono soggetti che usano il femminismo come strumento di potere. Non ci stupirebbe scoprire che c’è qualche politico locale, magari uno di quelli che ha fatto fuoco e fiamme per la recente iniziativa del Municipio VI della Capitale, tra coloro che hanno forzato il Monk a far fallire l’iniziativa. E non ha alcuna rilevanza se fossero politici di sinistra o no: conta che abbiano usato il femminismo come maglio per schiacciare la libertà di parola. Ma a questa conclusione i tre organizzatori e i loro follower non arrivano. Per loro è tutta una questione politico-partitica e ora restano percossi e attoniti intonando un “Bella Ciao” o un “Bandiera Rossa” in tono dimesso e sconfitto, facendo inutilmente risuonare le loro voci nel vuoto “universo di sinistra”.

Non si fanno prigionieri.
Ebbene, cari ragazzi, non possiamo che ribadire quanto sosteneva il video di un mese fa: siete fuori strada. Quello a cui restate attaccati è un mito del passato, una sinistra che (se mai è esistita) non esiste più, quella a cui cercate di parlare e che cercate di stimolare non è che una proiezione della vostra mente e dei vostri valori. La realtà è diversa, molto diversa. È una realtà di regime liberticida che travalica l’appartenenza politico-partitica e che si fa forte di un meme culturale diventato religione con tutti i suoi dogmi e le sue reliquie: il femminismo. Portare argomenti contro il femminismo oggi non è come fare la parte di Nanni Moretti quando grida a D’Alema «di’ qualcosa di sinistra!» (che era poi l’obiettivo di base del vostro evento), bensì è come essere nel 1633 e affermare, prove alla mano, che è la terra a girare attorno al sole e non viceversa, con tutte le conseguenze del caso. O, se si vuole indulgere una volta di più alla reductio ad hitlerum, è come se nella Germania del Terzo Reich si fosse affermato pubblicamente che gli ebrei sono brave persone. Non si sta giocando al più puro che epura l’altro in una sezione del PCI di Berlinguer, cari amici. Siamo in guerra. Una guerra che gli avversari vivono come religiosa, una vera e propria jihad in rosa, ma che è culturale e civile molto molto prima di essere politica o partitica. Soprattutto, è una guerra esistenziale.
Esageriamo? Valutate voi tornando con la mente a quanto è accaduto e sta accadendo con l’iniziativa del Municipio VI di Roma (governato da “Fratelli d’Italia”, aaaaahhh, orrore!). Riguardate il tenore dei post non di attiviste quindicenni un po’ fuori di testa, ma di una senatrice della Repubblica Italiana, cui fanno eco sue consorelle che su Facebook la fanno passare per vittima (una senatrice!) perché qualcuno sui social l’ha criticata. Valutate cos’è accaduto al fondatore di queste pagine, letteralmente annientato perché si è azzardato, per ben otto anni, a smontare pezzo per pezzo il regime che nel frattempo si andava consolidando, e che oggi tappa la bocca a voi, domani ad altri, dopo averla tappata innumerevoli volte ad altri ancora in passato. Valutate quanto accaduto a Giuseppe Apadula, rappresentato a reti unificate come un marito e padre violento e abusante in assenza di qualunque prova e riabilitato soltanto da una sentenza europea, dopo dieci anni di calvario e un figlio perso sulla base di vere e proprie bugie e invasioni di campo istituzionali. Valutate la vicenda del Prof. Alessandro Strumia, cacciato dal CERN per aver portato dei fatti e delle prove incontrovertibili sulla presenza delle donne in ambito scientifico. Gli esempi potrebbero continuare all’infinito e vi dimostrerebbero tutti che non stiamo giocando a fare la frondina in una sezione di provincia della FGCI o durante una okkupazione liceale. Siamo in guerra. Il nemico sono il femminismo e il suo spin-off “gender”. Ed è una guerra sporchissima, cui non si partecipa armati di minuetti da contesto democratico, ma solo disponibili a una guerriglia (intellettuale) priva di pregiudiziali verso possibili alleati e indisponibile a fare prigionieri. Perché loro, l’avete visto, non li fanno.
Colpa di Fabio…
Post scriptum – Aggiungiamo in corsa un paio di paragrafi perché sul tema è intanto uscito un video dei nostri amici Wesa Channel (lo potete vedere qui sopra), che è sintomatico della caratura dell’antisessismo politicizzato di cui abbiamo parlato qua sopra. A parte allinearsi anche loro, ovviamente, al pippone “sinistra” (razionale, ragionevole, macchiato con latte di soia, in tazza grande e con scappellamento a destra), leggono le stories del Monk e, giustamente, si chiedono a chi si faccia mai riferimento quando, senza fare nomi, si parla dei «profili degli attori coinvolti nel dibattito che non erano soggetti a noi noti», quelli che rischiavano di inquinare il contesto “non violento” del Monk stesso. I Wesa danno per scontato che le stories si riferiscano a Yasmina o a Casto o a Laviola. Con voce dal sen fuggita esprimono pure il desiderio di aver contribuito anche loro alla censura: muoiono dalla voglia di potersi appuntare la medaglia di soggetti “temuti” dal regime. Ed è buffo e commovente come leggano i nomi di tutti gli invitati, possibili sospettati di aver causato le ire di chi ha forzato il Monk a cancellare l’evento. Li nominano tutti tranne uno, quello di Fabio Nestola, la cui presenza annunciata è, lo sanno tutti, la vera causa della cancellazione dell’evento. Solo che, essendo legato a “LaFionda.com”, i Wesa non lo nominano.
È inutile, cari amici, che voi, come la Pani, come Casto e tutti gli altri, corriate ad appuntarvi medaglie sul petto: siete innocui per il regime, siete una contro-narrazione irrilevante perché fatta di chiacchiere, ritegno ideologico e distinguo. Anzi, in qualche misura siete (involontariamente, s’intende) strumentali al regime. Il nostro Fabio (e LaFionda.com in toto) no. Né voi, né Yasmina, né gli altri siete mai stati oggetto non solo e non tanto di querele pretestuose a pioggia, ma soprattutto di un’interrogazione parlamentare di sindacato ispettivo verso il Ministro dell’Interno con richiesta di chiusura di tutti i canali, compresi quelli personali (così, per dire…). Fabio sì, insieme al fondatore de LaFionda.com. “DIS-PARI” è saltato per il non expedit di qualche sacerdotessa istituzionale del culto femminista esclusivamente contro l’eretico Fabio Nestola, redattore e animatore de “LaFionda.com”, oltre che reduce da un’intervista su un canale molto seguito che, quella sì, è una pugnalata al regime. È così, lo sappiamo, e sarebbe bellissimo se venisse fuori ufficialmente perché ci divertirebbe un mondo vedervi fare le stesse supercazzole del Monk pur di non nominarci, tenendo il muso lungo per aver scoperto di non essere voi la spina nel fianco del potere che pensavate di essere. Potrebbe essere un passaggio di crescita per spogliarvi finalmente della vostra spocchia intellettuale escludente e prendere atto di cosa davvero stia accadendo e perché.