Una brutta notizia: la petizione di ACT (“Against Conversion Therapy”), un coordinamento di associazioni arcobaleno, ha raggiunto il milione di firme necessario per essere presentata alla Commissione Europea, grazie a un’efficace sprint nelle ultime settimane con la promozione via social da parte di qualsiasi pagina a tema abcdefghi+. Il tempo sarebbe scaduto lo scorso 17 maggio: se non si fosse raggiunto il milione di firme la petizione sarebbe stata vana. Purtroppo però la quota è stata raggiunta e abbondantemente superata, probabilmente blindando la petizione dal rischio di essere invalidata in corso di verifica delle firme. La petizione è formulata come una richiesta all’UE di proibire le “terapie di conversione”: ma cosa si intende di preciso? Il passaparola è stato così capillare che sarà capitato anche a qualcuno di voi, nei giorni precedenti al 17 maggio, di ricevere l’invito a firmare da qualche attivista arcobaleno di vostra conoscenza (mi sono arrivate diverse segnalazioni): di solito per spingervi a firmare veniva descritto un quadro cupo, una specie di incubo da film horror, con l’immagine di tantissimi poveri giovani omosessuali costretti in stanze buie a subire torture psicologiche, o addirittura abusi sessuali e violenze e perfino esorcismi, per imporre loro di cambiare gusti sessuali e “curarli” dall’omosessualità.
Sì, cose del genere sono anche capitate: ma come singoli episodi, di solito spinti dall’estremismo religioso, giustamente arrivati alla cronaca internazionale quali casi di abusi particolarmente rari ed efferati. In realtà, a livello delle istituzioni scientifiche e mediche del mondo occidentale e nella popolazione generale, l’idea che l’omosessualità sia una malattia da curare è superata almeno dai primi anni ’70, quando fu “depatologizzata” e tolta dalla classificazione delle malattie mentali nel DSM, il più autorevole manuale internazionale sulla salute mentale. E salvo qualche isolata famiglia bigotta che può rompere le scatole al figlio gay mandandolo a parlare con un prete o uno psicologo – privato, perché un professionista della sanità pubblica che si provasse a “guarire” un omosessuale nel 2025 sarebbe bandito dell’esercizio della professione in tempo zero se non direttamente arrestato per “violenza omofobica” –, casi del genere sono estremamente rari in Europa e solitamente legati all’estremismo religioso di matrice islamica. Pur comunque rari sono ad esempio più diffusi nei modernissimi e “wokeissimi” Stati Uniti, dove l’estremismo religioso (stavolta anche cristiano) contrario all’omosessualità è più comune e a volte ha anche un certo impatto nelle istituzioni.
Casi rari.
Ma, tornando a parlare dell’Europa, questa mentalità ora scomparsa era di certo presente in misura maggiore nei decenni scorsi piuttosto che adesso. Di una cosa possiamo quindi essere certi: la petizione c’entra poco o niente con fantomatici poveri giovani omosessuali norvegesi o olandesi chiusi in stanze buie e torturati per farli “diventare etero”. Quindi perché questo movimento ACT viene fondato in Europa nel 2023, e perché questa petizione parte proprio nel maggio 2024? Per capirlo è sufficiente aprire il sito di ACT e leggere la sezione “The Issue” (“il problema”) dove il reale obiettivo della mobilitazione è dichiarato a chiare lettere (corsivo nostro): «La “terapia di conversione” è la pratica pseudoscientifica di cercare di cambiare l’orientamento sessuale, l’identità di genere o l’espressione di genere di qualcuno per allinearla alla norma eterosessuale e cisgender». Ormai praticamente nessuno in Europa specie a livello istituzionale cerca di cambiare l’orientamento sessuale di qualcuno, e figuriamoci l’“espressione di genere”, cioè il modo in cui una persona si veste e si atteggia in modo più o meno tipicamente mascolino o femminile (gente che si presenta in modo atipico rispetto allo stile più comune per il proprio sesso era sdoganata già negli anni ’50 del secolo scorso, ed è pure alla moda). Quindi il nocciolo della questione è “l’identità di genere”, e il voler “allineare” qualcuno alla “norma cisgender”, cioè al riconoscere la realtà del proprio sesso biologico.
La nota “The Issue” sul sito prosegue: «I metodi per questa pratica variano dall’esorcismo e interventi spirituali fino alla castrazione chimica e al condizionamento psicologico». Andando a leggere il “joint statement” emesso il 1° giugno 2024 si chiarisce ancora meglio questo punto: «Le “terapie di conversione” sono trattamenti il cui scopo è alterare l’orientamento sessuale o l’identità/espressione di genere di un individuo, che includono una gamma di metodi tra cui la psicoterapia e altri approcci clinici avversi» (cioè differenti dalla immediata e incondizionata “affermazione di genere”). Lo stesso “joint statement” contiene l’ammissione che si tratta di casi rari, che non afferiscono al livello istituzionale, e che comunque riguardano in maggioranza l’aspetto della “identità di genere”: «non esistono dati sufficienti per quantificare il fenomeno, perché spesso avviene nella sfera privata, ma si stima che almeno al 5% delle persone LGBTQI siano stati proposti trattamenti di questo tipo, e che almeno il 2% li abbia subìti. Queste stime raddoppiano se ci si limita alla popolazione “transgender”». Quindi stiamo parlando di un fenomeno che “forse” colpirebbe una persona “LGBTQI” su 50 (stima chiaramente iperbolica), ma comunque in larga maggioranza tra i soggetti “transgender”, che guarda caso negli ultimi decenni sono diventati una popolazione prevalentemente composta di giovani e adolescenti (come si può vedere nelle statistiche discusse in questo articolo).
Propaganda contro evidenza scientifica.
Ci siamo? Ora è tutto chiaro: come abbiamo estesamente documentato in diversi articoli qui su LaFionda.com, negli ultimi anni molti Stati europei hanno intrapreso un “cambio di rotta” in merito alle “terapie affermative di genere”, specialmente per i bambini e gli adolescenti, in virtù di un sempre più ampio dissenso scientifico e delle meta-analisi della ricerca degli ultimi decenni: soprattutto la monumentale “Cass review” britannica, avviata nel 2020 e il cui report finale è stato pubblicato nell’aprile 2024 (guarda caso un mese prima dell’avvio della petizione di ACT) ma i cui risultati erano stati anticipati l’anno precedente, con l’Interim Report del marzo 2022 (guarda caso l’anno prima che la mobilitazione ACT venisse fondata). Ma prima ancora, già Svezia, Finlandia, Danimarca, Norvegia avevano raggiunto risultati simili (con relative e conseguenti modifiche alle linee-guida nazionali in merito al trattamento della “disforia di genere” nei minori) e altri paesi tra cui Olanda e Italia hanno in corso un processo analogo. L’Europa, insomma, si sta svegliando, e bruscamente, dal “sonno della ragione” dell’ideologia gender (ma chiamiamola “Pipper” altrimenti poi quelli dicono che non esiste, pur credendoci ciecamente e promuovendola a tutto spiano…) secondo cui ciascuno nasce con una “identità di genere” distinta e a volte diversa dal sesso biologico, ne è perfettamente consapevole già da infante, e l’unico modo per salvare un soggetto simile dall’inevitabile suicidio è “affermare” tale identità: cioè castrarlo chimicamente con gli ormoni bloccanti e procedere poi il prima possibile con l’atroce taglia-e-cuci (il tutto peraltro frutta centinaia di migliaia di euro per ogni singolo soggetto all’industria della medicina gender).
L’Europa stava finalmente cominciando a cambiare rotta, proponendo di privilegiare approcci alternativi e meno invasivi, tra cui quello psicoterapeutico appunto, per il trattamento di questi disagi in bambini e adolescenti. Rendendosi conto di non poter andare contro decenni di evidenza scientifica, che parlano chiaro e parleranno sempre più man mano che le meta-analisi internazionali continueranno a essere condotte e pubblicate (recentissima quella statunitense che ho discusso qui), hanno deciso di puntare sullo strumento della “Iniziativa dei cittadini europei” prevista dall’UE secondo cui una rete “dal basso” presente in almeno sette paesi può tentare di raccogliere un milione di firme in un anno di tempo, a sostegno di un’istanza che dovrà poi essere presa in considerazione per un processo di legiferazione sovranazionale. Il tam tam sui social, rivolto quindi soprattutto su un target giovanile, basato sul cavallo di Troia del povero giovane omosessuale costretto con la violenza a “curarsi” ha fatto il resto, dimostrandosi estremamente efficace nelle ultime settimane. C’è solo da sperare che la Commissione Europea tenga in dovuto conto non solo le firme raccolte da ACT mediante una propaganda distorta, ma anche e soprattutto l’evidenza scientifica in merito, e che eventuali norme sovranazionali che dovessero emergere da questa iniziativa siano fermamente respinte, o recepite in modo oculato, dalla maggior parte dei paesi europei.
La violenza sui corpi.
Altrimenti, in un futuro prossimo, un dodicenne che dovesse manifestare disagio con il proprio corpo o comportamenti più tipici del sesso opposto, rischierebbe di essere avviato per legge alla transizione sociale e alla castrazione chimica mediante ormoni bloccanti della pubertà, per poi passare al taglia-e-cuci; e mandarlo da uno psicoterapeuta o anche solo semplicemente aspettare che attraversi la pubertà in pace (cosa che comporta la remissione spontanea della “disforia” in oltre l’80% dei casi) potrebbe diventare illegale. E a farne le spese, per un paradosso atroce, sarebbe proprio la popolazione dei giovani omosessuali: in quanto i giovani con comportamenti “non conformi” a quelli tipici del proprio sesso o con “disforia” sono per la quasi totalità omosessuali, e l’“omofobia interiorizzata” è una delle principali cause del disagio provato. Non a caso molti osservatori chiamano oggi “terapia di conversione moderna” e “moderna omofobia” proprio l’ideologia della “affermazione di genere”, che finisce per portare molti giovani che sarebbero cresciuti come omosessuali sani, a alterare irreversibilmente il proprio corpo e diventare caricature dei soggetti “etero” del sesso opposto. Una follia cui tutti, di qualsiasi gusto sessuale e colore politico, dobbiamo fermamente opporci.